Nell'era bolscevica, il 52% dei membri del partito comunista sovietico era ebreo, nonostante rappresentassero solo l'1,8% della popolazione totale.
Il romanziere siberiano Valentin Rasputin scrisse nel 1990 : ''Credo che oggi gli ebrei in Russia dovrebbero sentirsi responsabili per il peccato di aver fatto la rivoluzione con le sue conseguenze
devastanti''.
In Ungheria nel 1919 il dittatore Bela Kun (Kohen) era un ebreo, come il suo successore Matyas Rakosi che fu un assassino di massa di cristiani.
Secondo l'agenzia ebraica Telegraph del 14 maggio del 1997 gli ebrei ebbero un ruolo chiave nel far entrare il regime comunista in Ungheria. Nella brutale oppressione dei primi anni 1950, i cinque dirigenti del regime erano ebrei.
In Jugoslavia il comandante dell'esercito popolare dei comunisti Moshe Pijade (che poi divenne presidente del parlamento jugoslavo comunista) che uccise centinaia di migliaia di cristiani, era un ebreo. Almeno diciotto generali dell'esercito comunista jugoslavo erano ebrei. Il partito comunista jugoslavo invio' un notevole quantitativo di armi agli ebrei in Palestina nel 1940.
La Polonia nel dopoguerra, era dominata da comunisti ebrei : il torturatore Jacek Rozanski, capo della polizia segreta, il comandante del Politboro Jacob Berman e i commissari Minc, Spech (Olszewski) e Spychalski. Questi uomini hanno ucciso e deportato in Kolyma ed in altri campi di sterminio, decine di migliaia di cattolici polacchi. Nel 1945 il 75% degli ufficiali della polizia segreta comunista in Slesia erano ebrei. In Polonia un numero sproporzionato di comunisti erano ebrei. Nel 1930 al suo apice, il 35% dei membri del partito erano ebrei. Nelle organizzazioni giovanili comuniste, l'appartenenza ebraica era ancora piu' elevata, mentre i comunisti di origine ebraica occupavano la maggior parte dei seggi del comitato centrale.
Nei campi di concentramento per tedeschi in Polonia, l'ebreo Morel Solomon torturo' ed uccise migliaia di tedeschi, a volte a mani nude.
Lavrenti Beria che fu responsabile del massacro di Katyn e del sistema carcerario Gulag, era un ebreo. Era anche un violentatore di giovani studentesse.
Fonte :
http://aangirfan.blogspot.it/2010/09/jewish-control-of-russia.html
giovedì 30 ottobre 2014
mercoledì 22 ottobre 2014
ZAR NICOLA II : UNA VITTIMA DEI ROTHSCHILD
Con il Congresso di Vienna (settembre 1814-giugno 1815) i Rothschild vogliono instaurare un Governo Mondiale. Molti governi europei erano sotto il controllo dei Rothschild in quanto indebitati con questa dinastia ad eccezione della Russia, in quanto lo zar Alessandro I non voleva cedere la banca centrale a questa mafia.
Questo fatto fece infuriare Nathan Mayer Rothschild che giuro' che un giorno lui o i suoi discendenti avrebbero distrutto tutta la famiglia ed i discendenti dello zar Alessandro I.
102 anni dopo i Rothschild portarono a compimento la loro vendetta.
I membri della famiglia dello zar Nicola II erano pii cristiani ortodossi.
A seguito della rivoluzione bolscevica, finanziata dai Rothschild, la famiglia reale fugge ad agosto del 1817 a Tobolsk in Siberia, soggiornando al Governors House fino ad aprile 1918. Sperava di trovare rifugio in Inghilterra, ma il re Giorgio V, un cugino Romanov, si rifiuto' ad aiutarli a causa delle pressioni ad opera di gruppi ebraici.
Lo zar con la sua famiglia durante il viaggio in treno ad Ekaterinburg negli Urali viene bloccata da quattro ebrei Goloshchekin, Safarov, Voikov e Syromolotov coordinati dall'ebreo Jacob Yurovsky che li portano a casa del ricco mercante ebreo Ipatiev. Il 4 luglio 1918 Yurovsky respinge i soldati russi che erano di guardia allo zar ad eccezione di Pavel Medvedev una spia Ceka ebraica e rimpiazza i soldati russi fedeli allo zar con assassini comunisti ebrei ungheresi.
Il 15 luglio 1918 due rappresentanti della Commissione straordinaria sovietica, uno dei quali Philip Golochtchekine, giunsero a casa di Ipatiev con un ordine di Jacob Yurovsky di eliminare la famiglia reale russa.
Il 17 luglio 1918 verso mezzanotte, Yurovsky porto' lo zar e la zarina Nicola ed Alessandra con le loro quattro figlie, la cameriera, il medico, il cuoco ed il cameriere al piano seminterrato.
Lo zar prese l'erede Alexei tra le sue braccia. Gli avevano detto che dovevano posare per una foto di gruppo.
C'erano gli assassini ebrei Medvedev, Nikulin, Yermakov, Vaganov. Yurovsky tiro' fuori la pistola e la punto' direttamente alla testa dello zar e sparo', e mori' sul colpo. Poi la zarina Alexandra mentre faceva il segno della croce. Poi tocco' alle quattro figlie Olga, Tatiana, Maria ed Alessandra.
Demidova, la cameriera, sopravvisse alla prima raffica, poi le spararono 30 volte.
Quando la stanza divenne silenziosa si senti' un piccolo gemito, era Alexei che era ancora vivo tra le braccia del padre.
Yurovsky si avvicino' e sparo' due colpi nell'orecchio del ragazzo.
Tutti i membri della famiglia reale erano stati eliminati.
I Rothschild ordinarono l'esecuzione dello zar Nicola II e la sua famiglia nonostante avesse gia' abdicato il 2 marzo, come atto di vendetta nei confronti dello zar Alessandro I che blocco' il piano del governo mondiale nel 1815 durante il Congresso di Vienna e lo schierarsi con Abraham Lincoln da parte dello zar Alessandro II.
http://jonkirby2012.wordpress.com/2012/11/04/why-rothschilds-really-wanted-the-murder-of-tzar-nicholas-ii-and-his-christian-family/
Questo fatto fece infuriare Nathan Mayer Rothschild che giuro' che un giorno lui o i suoi discendenti avrebbero distrutto tutta la famiglia ed i discendenti dello zar Alessandro I.
102 anni dopo i Rothschild portarono a compimento la loro vendetta.
I membri della famiglia dello zar Nicola II erano pii cristiani ortodossi.
A seguito della rivoluzione bolscevica, finanziata dai Rothschild, la famiglia reale fugge ad agosto del 1817 a Tobolsk in Siberia, soggiornando al Governors House fino ad aprile 1918. Sperava di trovare rifugio in Inghilterra, ma il re Giorgio V, un cugino Romanov, si rifiuto' ad aiutarli a causa delle pressioni ad opera di gruppi ebraici.
Lo zar con la sua famiglia durante il viaggio in treno ad Ekaterinburg negli Urali viene bloccata da quattro ebrei Goloshchekin, Safarov, Voikov e Syromolotov coordinati dall'ebreo Jacob Yurovsky che li portano a casa del ricco mercante ebreo Ipatiev. Il 4 luglio 1918 Yurovsky respinge i soldati russi che erano di guardia allo zar ad eccezione di Pavel Medvedev una spia Ceka ebraica e rimpiazza i soldati russi fedeli allo zar con assassini comunisti ebrei ungheresi.
Il 15 luglio 1918 due rappresentanti della Commissione straordinaria sovietica, uno dei quali Philip Golochtchekine, giunsero a casa di Ipatiev con un ordine di Jacob Yurovsky di eliminare la famiglia reale russa.
Il 17 luglio 1918 verso mezzanotte, Yurovsky porto' lo zar e la zarina Nicola ed Alessandra con le loro quattro figlie, la cameriera, il medico, il cuoco ed il cameriere al piano seminterrato.
Lo zar prese l'erede Alexei tra le sue braccia. Gli avevano detto che dovevano posare per una foto di gruppo.
C'erano gli assassini ebrei Medvedev, Nikulin, Yermakov, Vaganov. Yurovsky tiro' fuori la pistola e la punto' direttamente alla testa dello zar e sparo', e mori' sul colpo. Poi la zarina Alexandra mentre faceva il segno della croce. Poi tocco' alle quattro figlie Olga, Tatiana, Maria ed Alessandra.
Demidova, la cameriera, sopravvisse alla prima raffica, poi le spararono 30 volte.
Quando la stanza divenne silenziosa si senti' un piccolo gemito, era Alexei che era ancora vivo tra le braccia del padre.
Yurovsky si avvicino' e sparo' due colpi nell'orecchio del ragazzo.
Tutti i membri della famiglia reale erano stati eliminati.
I Rothschild ordinarono l'esecuzione dello zar Nicola II e la sua famiglia nonostante avesse gia' abdicato il 2 marzo, come atto di vendetta nei confronti dello zar Alessandro I che blocco' il piano del governo mondiale nel 1815 durante il Congresso di Vienna e lo schierarsi con Abraham Lincoln da parte dello zar Alessandro II.
http://jonkirby2012.wordpress.com/2012/11/04/why-rothschilds-really-wanted-the-murder-of-tzar-nicholas-ii-and-his-christian-family/
domenica 19 ottobre 2014
IL CONCILIO VATICANO II FU OPERA DELLA MASSONERIA, DEL B'NAI B'RITH E DEI GESUITI
B'nai B'rith e Vaticano II
Non si può trattare del B'nai B'rith senza un breve excursus nel campo dove, con credibile certezza, esso ha raccolto i risultati più vistosi, ponendo le premesse definitive per il compimento dell'azione secolare della Controchiesa, dopo un lungo e metodico lavorio di penetrazione e conversione agli ideali terreni ebraici della Chiesa cattolica, approdato nel Concilio Vaticano II25.
Scriveva all'uopo Elia Eberlin: “Israele compie infaticabilmente la sua missione storica di redenzione della libertà dei popoli; (è) il Messia collettivo dei diritti dell'uomo”26. Parlare di un Messia, e quindi di un dio, collettivo, è proclamare - come si è ripetutamente ricordato - la sola realtà della divinizzazione dell'uomo e di conseguenza dell'unica religione dell'Umanità. Con tutte le conseguenze che questo comporta: “L'Umanità nella sua totalità è allora il solo Dio personale e il Cristo è la realizzazione o la perfezione di questa persona divina”. E un cammino “attraverso il caos del mondo verso il Cristo-cosmico”27, proclamava l'eretico Teilhard de Chardin col plauso e sostegno di un cardinale di Santa Romana Chiesa, il gesuita Henri de Lubac.
Non si intende qui descrivere e commentare gli intrighi che hanno dato vita alle due principali, assolutamente rivoluzionarie e sconvolgenti, Dichiarazioni Dignitatis Humanae e Nostra Aetate del Vaticano II, peraltro sufficientemente presi in considerazione nel libro del padre Wiltgen le Rhin se jette dans le Tibre28. Ci limiteremo quindi solo a qualche aspetto. Segnaliamo fra l'altro che Nostra Aetate Award è diventato il nome di un prestigioso premio assegnato dall’Institute for Christian-]ewish Understanding americano, per premiare coloro che hanno favorito il dialogo ebreo-cristiano. Finora il premio è stato assegnato al cardinale di Parigi Jean-Marie Lustiger, “primo porporato della Chiesa cattolica a dichiarare apertamente la propria irrinunciabile identità ebraica”29, al Gran Rabbino di Francia René-Samuel Sirat, presidente della Conferenza europea dei Rabbini, al cardinale John O' Connor, al senatore Joseph I. Lieberman (n. 1942), membro del C F R , al cardinale di Baltimora William H. Keeler (decorato anche dell'Americanism Award, ordine d'onore dell'Anti-Defamation League del B'nai B'rith), a Krister Stendahl della chiesa luterana svedese, al rabbino Mordecai Waxman, al cardinale Edward J. Cassidy e al rabbino Irving (Yitz) Greenberg.
Ebbene, prima della discussione e dell'approvazione dei due documenti succitati venne fatto circolare fra i Padri del Concilio uno scritto anonimo30 intitolato l'azione giudaico-massonica nel Concilio che, però, a dire di mons. Graber, “fece poca impressione”. Lo scritto intendeva mettere in guardia i Padri contro un'azione condotta dal B'nai B'rith mirante, attraverso il gesuita cardinale Bea, ad un pronunciamento del Concilio nel senso di scagionare il popolo ebraico da ogni responsabilità sulla morte di Cristo, da imputarsi invece a tutta l'umanità, anche se palesemente in contraddizione con l'insegnamento del Divin Maestro (Mt. 22, 1-14), e col racconto dei testimoni della Sua Passione e della Scrittura.
Un'approvazione in tal senso avrebbe avuto come logica conseguenza di fare apparire i quasi venti secoli di cristianesimo come un'era di persecuzione ingiusta e senza fine da parte dei cattolici nei riguardi degli ebrei: un debito incommensurabile e imperdonabile che avrebbe richiesto da parte cattolica un lungo e proporzionato itinerario di riparazione. Il 19 novembre 1963 il quotidiano francese Le Monde annunciava: “l'organizzazione ebraica internazionale B'nai B'rith ha manifestato il desiderio di stabilire relazioni più strette con la Chiesa Cattolica. Tale Ordine ha sottoposto ora al Concilio una dichiarazione nella quale si affenna la responsabilità dell'intera umanità per la morte di Cristo. Se tale dichiarazione verrà accettata dal Concilio - ha dichiarato Label Katz, Presidente del Consiglio Internazionale dei B'nai B'rith - le comunità giudaiche cercheranno i mezzi per collaborare con le autorità della Chiesa”.
Azione intrapresa e portata a termine da parte ebraica soprattutto ad opera di tre personaggi: Jules Marx Isaac, scrittore e storico francese affiliato al B'nai B'rith, principale teorico e promotore della campagna contro l'insegnamento tradizionale della Chiesa”. Label Katz, allora presidente del B'nai B'rith, e Nahum Goldmann, presidente del Consiglio Ebraico Mondiale. Ad essi se ne affiancarono altri, come il massone polacco Joseph Lichten, agente dell’ADL, operante in stretta collaborazione col cardinale Bea, membro della Commissione internazionale per le Relazioni religiose col Giudaismo, delegato a Roma per il B'nai B'rith e che sarebbe stato presente in veste di delegato del Congresso Mondiale Ebraico alla cerimonia per l'intronizzazione del connazionale Giovanni Paolo II32; Marc Tanenbaum, unico rabbino presente al Concilio (1926-1992) appartenente all'American Jewish Committee e sponsor di rilievo del Lucis Trust.
Il susseguirsi degli avvenimenti è noto: il 20 novembre 1964, nel corso della terza sessione conciliare, l'assemblea dei vescovi, arcivescovi e cardinali, approva a larghissima maggioranza uno schema concernente il nuovo atteggiamento della Chiesa Cattolica nei riguardi degli ebrei e del giudaismo. Sotto la copertina di un necessario ecumenismo all'insegna della fraternità e delle comuni origini, gli ebrei da “perfidi”, come per molti secoli erano stati definiti nelle preghiere del Venerdì Santo, divenivano i “fratelli maggiori” dei cattolici, riconoscendo in tal modo che la Chiesa per due millenni si era ingannata e doveva ora procedere a fare ammenda. La decisione, ratificata il 14 ottobre 1965, era per un cattolico di allora sbalorditiva, come incredibile appare a tutt'oggi che i Padri conciliari avessero potuto ignorare l'essenza dell'ebraismo talmudico moderno.I 1651 Padri conciliari avevano così votato la riforma dell'insegnamento cattolico di sempre, conformemente alle direttive di Jules Isaac (e quindi del B'nai B'rith) che nei suoi libri e in ogni sua lettera, resi pubblici e in libera vendita, non facevano mistero di considerare:
- l'evangelista Matteo uno spudorato mentitore e falsario specie là dove narra la Passione evidenziando le responsabilità giudaiche nella morte di Nostro Signore Gesù Cristo; - i Padri della Chiesa come bugiardi e aguzzini che avevano diffuso nel mondo l'odio per gli ebrei su base teologica e quindi precursori di Hitler e dei suoi scherani; - la Chiesa come il più pericoloso focolaio di infezione antisemita la cui secolare dottrina aveva inculcato l'odio per la razza ebraica sfociato logicamente nella Shoà di Auschwitz e dei 6 milioni di morti vittime dei nazionalsocialisti. Né mostravano, i reverendi Padri, di conoscere il pensiero di insigni autori talmudici, anche recenti, come Elia Benamozegh, quando affermava: “La religione cristiana è una falsa religione che si presume divina. Non v'è per essa e il mondo che una via di salvezza, tornare a Israele”; o quello di A. Memmi:
“La vostra religione è agli occhi degli ebrei una bestemmia e una sovversione. Il vostro Dio è per noi il Diavolo, vale a dire il condensato del male sulla terra”33; ovvero quanto proclamava lo scrittore ebreo Vladimir Rabi: “Tra giudei e cristiani esiste una divergenza insormontabile. Essa riguarda Gesù. Ammesso che sia storicamente esistito, per il giudeo egli non è Dio, né figlio di Dio. Tutt'al più si potrebbe ammettere, come ultima concessione, la tesi di Giuseppe Klausner: né Messia, né profeta, né legislatore, né fondatore di una religione, né Janna (antico dottore della legge, N.d.A.), né rabbi fariseo; per la nazione ebraica, Gesù è un grande moralista e un artista in parabole [...]. Il giorno in cui verrà liberato dai racconti dei miracoli e del misticismo, il libro di morale di Gesù Cristo sarà uno dei più preziosi gioielli della letteratura ebraica di tutti i tempi. Talvolta mi capita di immaginare, nell'ultimo secolo, l'ultimo ebreo vivente, in piedi davanti al suo Creatore come è scritto nel Talmud; il giudeo, legato dal giuramento, resta in piedi fin dal Sinai.
Immagino dunque quest'ultimo israelita che sarà sopravvissuto agli oltraggi della storia e ai richiami del mondo: che dirà dunque per giustificare la sua resistenza all'usura del tempo e alla pressione degli uomini? Lo sento, egli dice: “Non credo alla divinità di Gesù Cristo”. E logico che questa professione di fede sia di scandalo per il cristiano. Ma la professione di fede del cristiano non è forse di scandalo per noi giudei? Per noi [...] la conversione al cristianesimo implica la più grande bestemmia, ossia la credenza nella divinità di un uomo”34. E con altrettanta franchezza Rabi riconosceva che il libro Jésus et Israel35 di Jules Isaac, pubblicato per la prima volta nel 1948 e che attaccava direttamente la storicità dei quattro evangelisti, era “l'arma di guerra più indovinata contro un insegnamento cristiano particolarmente nocivo”. Bisogna giocoforza ammettere che qualcosa nel Vaticano II si era svolto in modo molto strano...
Perno di tutta l'operazione tesa a rovesciare le millenarie posizioni della Chiesa sull'ebraismo fu il cardinale Agostino Bea (1881-1968), alfiere presso i Padri conciliari delle idee che Jules Isaac aveva esposto nel suo citato libro Jésus et Israel, peraltro ampiamente confutato fin dal 1949 dal domenicano padre Pierre Benoit nella Revue Biblique (n. 56, 1949, pp. 610-613). Bea, già dal 1961, e col placet di Giovanni XXIII, aveva fondato e presiedeva il novello “Segretariato per l'Unione dei Cristiani”, organismo che, oltre ad un riavvicinamento con gli ebrei, perorava il decentramento del potere nella Chiesa mediante forme di collegialità democratica. Cosa - si è visto - perfettamente realizzata.
Come non poterono i Padri conciliari non ravvisare in questo attacco frontale all'Autorità di Pietro la stessa strategia impiegata dalla massoneria per abbattere le monarchie cattoliche in Europa? Anche allora si iniziò decentrando il potere del re verso principi, duchi, baroni e conti, affiancando successivamente il monarca con un parlamento che doveva ufficialmente “aiutarlo” nella direzione degli affari dello Stato, ma in realtà contribuiva non poco a spogliarlo dei suoi poteri. L'azione massonica di corruzione capillarmente svolta fra il popolo e sfociata in rivoluzioni, seguite da costituzioni e referendum, fece il resto, fino al crollo delle monarchie, sostituite da forme democratiche facilmente controllabili da persone di fiducia della massoneria e quindi del giudaismo.
Fonte : Massoneria e sette segrete
Fonte : Massoneria e sette segrete
https://app.box.com/s/5zob5rgfkj5ia9teki2a (pag. 636-639)
PAPA MONTINI MASSONE
PAPA MONTINI MASSONE
Con Don Villa tocchiamo un punto delicato, quello dei presunti rapporti tra papa Montini e la libera muratoria. L'apertura intellettuale di Paolo VI su molte tematiche ''di confine'' ha fatto ritenere ad alcuni osservatori che il Pontefice coltivasse delle 'simpatie' nei confronti di quel mondo. Don Villa si spinge oltre: ritiene che Paolo VI appartenesse alla massoneria.
''Non convinto : ne sono certo! Peraltro non si tratta nemmeno di una cosa ignota, qui a Brescia. L'ex presidente della Corte d'appello di Brescia, Salvatore Macca, poi magistrato di Corte di Cassazione, in una lettera pubblicata su un quotidiano scrisse ''il massone Montini''. Il presidente di un tribunale puo' contare sempre su buone fonti. Sapeva molte cose, anche in merito al supporto offerto dalla famiglia Montini alla resistenza durante la fase conclusiva della guerra''.
Nel suo libro 'Paolo VI beato?', don Villa cita a sostegno della sua tesi molte 'prove, rinvenibili-secondo il sacerdote-nella posizioni moderniste e 'laiche' assunte da Montini nel corso del suo papato e del Concilio Vaticano II.
Che Montini avesse simpatie laiche emergerebbe, ad esempio, dai testi del lungo dialogo che il Pontefice intrattenne con il teologo Jean Guitton. Proprio Guitton, nel suo libro 'Dialoghi con Paolo VI' riporta una frase del Pontefice : ''Non mi sentivo portato al chiericato, che talvolta mi sembrava statico, chiuso (...) implicante la rinuncia alle tendenze terrene nella misura della sua condanna al mondo (...) se io sento cosi', vuol dire che sono chiamato a un altro stato, dove io mi realizzero' piu' armoniosamente, per il bene comune della Chiesa''.
In un altro libro centrato sul loro intenso colloquio, il teologo francese scriveva di Paolo VI: ''Ho notato quanto il suo pensiero fosse di tipo laico. Con lui non si era in presenza di un 'chierico', ma di un laico promosso, inaspettatamente, al Papato''.
Ma don Villa va oltre, asserendo di aver scoperto inconfutabili indizi circa l'appartenenza di Montini alla massoneria.
''Al cimitero di Verolavecchia, qui in provincia di Brescia, si trovano le pietre tombali della famiglia materna di Montini, gli Alghisi. Il sacello della madre di Paolo VI fu disegnato dal Pontefice in persona, quando la madre mori. Ebbene, sul tombale in pietra vi sono i simboli massonici : la squadra e il compasso, sovrastati da un triangolo''. La fotografia della tomba in effetti colpisce : quelli impressi sulla pietra sembrano effettivamente simboli massonici.
Difficile, naturalmente, valutare le affermazioni del sacerdote bresciano, che nei suoi libri su Paolo VI e sulla massoneria porta come ''prove'' dichiarazioni e testi del papato di Montini che potrebbero semplicemente essere interpretati come posizioni di 'apertura' in un momento di particolare dinamismo della Chiesa.
Resta tuttavia il fatto che Montini ebbe-sul piano storico- rapporti con discussi esponenti della massoneria. In particolare, quando resse come cardinale la diocesi di Milano aveva conosciuto un rampante finanziere siciliano : Michele Sindona. Questi si era mostrato molto generoso con la diocesi milanese, e in cambio aveva ricevuto la possibilita' di entrare in contatto con lo Ior gia' nel 1960.
Il 21 giugno 1963 Montini divenne Papa. Il Gran Mestro Giordano Gamberini, il giorno stesso dell'annuncio, affermo', ''Questo e' l'uomo che fa per noi''
Dopo l'elezione, Montini chiamo' Sindona a Roma e gli affido' una consulenza per lo Ior, chiedendogli di modernizzare la banca. All'epoca Sindona era in grande ascesa, faceva affari con Nixon, aveva rapporti con l'amministrazione americana, con il capo della CIA e con importanti esponenti della Democrazia Cristiana. Nel 1968 Paolo VI chiamo' allo Ior monsignor Marcinkus, che era stato sua guardia del corpo e che poi tessera' i rapporti con Sindona e con Calvi.
(..)
Montini ebbe modo di conoscere anche Licio Gelli. Nel 1965, durante il pontificato di Paolo VI, gli venne anche riconosciuta dal Vaticano la nomina a commendatore Equitem Ordinis Sancti Silvestri Papae.
(...)
Non bisogna poi dimenticare che papa Montini era una figura vista con molta simpatia dal governo americano. Nel corso del suo lavoro come segretario di Stato in Vaticano aveva stretto rapporti con il cardinale Francis Spellman, ''gran protettore' dei Cavalieri di Malta, una lobby molto potente con aderenze massoniche.
Fonte Fratelli d'Italia di Ferruccio Pinotti
Vedi anche i seguenti link :
http://www.iskrae.eu/?p=18392
http://www.disinformazione.it/pentalfaepaolovi.htm
http://www.affaritaliani.it/cronache/paolo-vi-massoneria-mafia070614.html?refresh_ce
Con Don Villa tocchiamo un punto delicato, quello dei presunti rapporti tra papa Montini e la libera muratoria. L'apertura intellettuale di Paolo VI su molte tematiche ''di confine'' ha fatto ritenere ad alcuni osservatori che il Pontefice coltivasse delle 'simpatie' nei confronti di quel mondo. Don Villa si spinge oltre: ritiene che Paolo VI appartenesse alla massoneria.
''Non convinto : ne sono certo! Peraltro non si tratta nemmeno di una cosa ignota, qui a Brescia. L'ex presidente della Corte d'appello di Brescia, Salvatore Macca, poi magistrato di Corte di Cassazione, in una lettera pubblicata su un quotidiano scrisse ''il massone Montini''. Il presidente di un tribunale puo' contare sempre su buone fonti. Sapeva molte cose, anche in merito al supporto offerto dalla famiglia Montini alla resistenza durante la fase conclusiva della guerra''.
Nel suo libro 'Paolo VI beato?', don Villa cita a sostegno della sua tesi molte 'prove, rinvenibili-secondo il sacerdote-nella posizioni moderniste e 'laiche' assunte da Montini nel corso del suo papato e del Concilio Vaticano II.
Che Montini avesse simpatie laiche emergerebbe, ad esempio, dai testi del lungo dialogo che il Pontefice intrattenne con il teologo Jean Guitton. Proprio Guitton, nel suo libro 'Dialoghi con Paolo VI' riporta una frase del Pontefice : ''Non mi sentivo portato al chiericato, che talvolta mi sembrava statico, chiuso (...) implicante la rinuncia alle tendenze terrene nella misura della sua condanna al mondo (...) se io sento cosi', vuol dire che sono chiamato a un altro stato, dove io mi realizzero' piu' armoniosamente, per il bene comune della Chiesa''.
In un altro libro centrato sul loro intenso colloquio, il teologo francese scriveva di Paolo VI: ''Ho notato quanto il suo pensiero fosse di tipo laico. Con lui non si era in presenza di un 'chierico', ma di un laico promosso, inaspettatamente, al Papato''.
Ma don Villa va oltre, asserendo di aver scoperto inconfutabili indizi circa l'appartenenza di Montini alla massoneria.
''Al cimitero di Verolavecchia, qui in provincia di Brescia, si trovano le pietre tombali della famiglia materna di Montini, gli Alghisi. Il sacello della madre di Paolo VI fu disegnato dal Pontefice in persona, quando la madre mori. Ebbene, sul tombale in pietra vi sono i simboli massonici : la squadra e il compasso, sovrastati da un triangolo''. La fotografia della tomba in effetti colpisce : quelli impressi sulla pietra sembrano effettivamente simboli massonici.
Difficile, naturalmente, valutare le affermazioni del sacerdote bresciano, che nei suoi libri su Paolo VI e sulla massoneria porta come ''prove'' dichiarazioni e testi del papato di Montini che potrebbero semplicemente essere interpretati come posizioni di 'apertura' in un momento di particolare dinamismo della Chiesa.
Resta tuttavia il fatto che Montini ebbe-sul piano storico- rapporti con discussi esponenti della massoneria. In particolare, quando resse come cardinale la diocesi di Milano aveva conosciuto un rampante finanziere siciliano : Michele Sindona. Questi si era mostrato molto generoso con la diocesi milanese, e in cambio aveva ricevuto la possibilita' di entrare in contatto con lo Ior gia' nel 1960.
Il 21 giugno 1963 Montini divenne Papa. Il Gran Mestro Giordano Gamberini, il giorno stesso dell'annuncio, affermo', ''Questo e' l'uomo che fa per noi''
Dopo l'elezione, Montini chiamo' Sindona a Roma e gli affido' una consulenza per lo Ior, chiedendogli di modernizzare la banca. All'epoca Sindona era in grande ascesa, faceva affari con Nixon, aveva rapporti con l'amministrazione americana, con il capo della CIA e con importanti esponenti della Democrazia Cristiana. Nel 1968 Paolo VI chiamo' allo Ior monsignor Marcinkus, che era stato sua guardia del corpo e che poi tessera' i rapporti con Sindona e con Calvi.
(..)
Montini ebbe modo di conoscere anche Licio Gelli. Nel 1965, durante il pontificato di Paolo VI, gli venne anche riconosciuta dal Vaticano la nomina a commendatore Equitem Ordinis Sancti Silvestri Papae.
(...)
Non bisogna poi dimenticare che papa Montini era una figura vista con molta simpatia dal governo americano. Nel corso del suo lavoro come segretario di Stato in Vaticano aveva stretto rapporti con il cardinale Francis Spellman, ''gran protettore' dei Cavalieri di Malta, una lobby molto potente con aderenze massoniche.
Fonte Fratelli d'Italia di Ferruccio Pinotti
Vedi anche i seguenti link :
http://www.iskrae.eu/?p=18392
http://www.disinformazione.it/pentalfaepaolovi.htm
http://www.affaritaliani.it/cronache/paolo-vi-massoneria-mafia070614.html?refresh_ce
mercoledì 15 ottobre 2014
DOCUMENTARIO SUL COINVOLGIMENTO DI BERLUSCONI NELLE STRAGI DI CAPACI E VIA D'AMELIO
Le indagini su Alfa e Beta
In parallelo al lavoro per il processo d'appello per Capaci, Tescaroli prosegue le indagini sui mandanti occulti delle stragi. I boss che avevano iniziato a collaborare con la giustizia fornivano particolari inquietanti sull'esistenza di presunti mandanti a volto coperto delle stragi siciliane del 1992 e dei gravissimi attentati del 1993.
Queste rivelazioni non potevano essere trascurate, perche' venivano da mafiosi di grosso calibro, che avevano ammesso non solo le stragi di Capaci e via D'Amelio, ma anche gli omicidi di Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici e numerosi altri appartenenti alla magistratura e alle forze dell'ordine. Di qui l'obbligo, per la procura di Caltanisetta, di aprire un'indagine sulle persone che venivano indicate come mandanti delle stragi del 1992-93.
Le indagini erano in corso dal 1994, ma la procura di Caltanisetta apre ufficialmente solo il 23 luglio 1998 un'inchiesta su Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, indicati per l'estrema delicatezza dell'indagine (Berlusconi all'epoca era gia' stato una volta presidente del Consiglio ed era leader di Forza Italia) come ''Alfa'' e ''Beta''. Ad aprire d'ufficio il procedimento furono il procuratore capo Giovanni Tinebra, il procuratore aggiunto Paolo Giordano e i sostituti procuratori Luca Tescaroli, Antonino Di Matteo e Anna Maria Palma. Ricordare questi nomi e' importante, perche' le sorti del pool investigativo di Caltanisetta saranno complesse e oggetto di molte e controverse analisi.
Il gruppo muove i primi passi nelle indagini su Berlusconi e Dell'Utri a partire dalle deposizioni rese dai superboss nel corso del tempo.
E' importante analizzarle sulla base degli atti processuali, che sono ormai divenuti pubblici.
L'ultima intervista di Paolo Borsellino
In realta', i nomi di Silvio Berlusconi, Marcello Dell'Utri e Vittorio Mangano erano gia' stati fatti da Paolo Borsellino. Il 19 maggio 1992 – quattro giorni prima della morte di Falcone – in un'intervista a due giornalisti francesi di Canal Plus, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, il magistrato, stanco e teso, sembra voler affidare una sorta di testamento. E' un'intervista molto dura, nella quale il magistrato tocca il tema dei rapporti tra mafia e imprenditoria, parlando, tra l'altro, proprio dello stalliere di casa Berlusconi, '' indicato sia da Buscetta che da Contorno come 'uomo d'onore' appartenente a Cosa Nostra''. Il giornalista gli chiede : ''Uomo d'onore di che famiglia?'' Borsellino risponde : ''Uomo d'onore della famiglia di Pippo Calo', cioe' di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta.
Si accerto' che Vittorio Mangano – ma questo gia' risultava dal procedimento che avevo istruito io e risultava altresi' dal cosiddetto procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxiprocesso – che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, citta' da dove, come risulto' da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane''.
Poi i due giornalisti francesi pongono una domande ficcante e pericolosa a Borsellino : ''Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come Berlusconi, Dell'Utri, siano collegati a uomini d'onore tipo Vittorio Mangano?'' Lui da' una risposta lucida e terribile : ''All'inizio degli anni Settanta, Cosa Nostra comincio' a diventare un'impresa anch'essa, un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre piu' notevole, che a un certo punto divento' addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra comincio' a gestire una massa enorme di capitali, dei quali naturalmente cerco' lo sbocco, perche' questi capitali in parte venivano
esportati o depositati all'estero, e allora cosi' si spiega la vicinanza tra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali''.
Il giornalista replica : ''Lei mi dice che e' normale che Cosa Nostra si interessi a Berlusconi?'' Borsellino ha una pausa, e' visibilmente teso, fuma nervosamente, poi risponde : '' E' normale che chi e' titolare di grosse quantita' di denaro cerchi gli strumenti per poter impiegare questo denaro, sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Le posso dire che Mangano era uno di quei personaggi che ecco erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa del Nord Italia''. Il giornalista e' sorpreso della risposta e insiste :
'' C'e' un'inchiesta ancora aperta?'' Borsellino, tirato, ammette : '' So che c'e' un'inchiesta ancora aperta''
Il giornalista in francese chiede : ''Su Mangano e Berlusconi, a Palermo?'' Borsellino : ''Si''.
In questa ultima intervista, concessa due mesi prima di morire, Borsellino tocca quindi il tema del riciclaggio, il coinvolgimento dei colletti bianchi, parla esplicitamente delle 'teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia''. Esplicita cio' che Falcone aveva capito e messo a fuoco per primo: il fatto che il vero grande nodo, la vera forza della mafia stava nei meccanismi del riciclaggio che le consentono di fiorire, nella contiguita' della politica corrotta, nell'esistenza di un'imprenditoria che non disdegna di avere rapporti 'esterni' con gli ambienti malavitosi.
Quattro giorni dopo quell'intervista Falcone muore. E nel momento in cui Falcone muore, Borsellino sa che anche lui morira', che la sua sorte e' segnata.
(vedi anche : https://www.youtube.com/watch?v=-BF-Lb4nlSc#at=25)
Il racconto di Salvatore Cancemi
Due anni dopo queste dichiarazioni e la morte di Paolo Borsellino, la procura di Caltanisetta inizia ad ascoltare i pentiti sul progetto stragista messo in atto da Cosa Nostra nel 1992-93. E i nomi di Mangano, Dell'Utri e Berlusconi torneranno nei loro racconti. Le prime e piu' note dichiarazioni vennero rese da Salvatore Cancemi che, nei verbali di interrogatorio, all'inizio si limito' a raccontare che nel maggio del 1992, di ritorno da una riunione con altri esponenti di Cosa Nostra, aveva discusso con il superboss Raffaele Ganci dell'attentato a Giovanni Falcone. Ganci gli spiego' che Riina aveva avuto un incontro con 'persone molto importanti'', insieme alle quali aveva deciso di 'mettere una bomba a Falcone''. Queste persone importanti hanno promesso allo zu' Toto' che devono rifare il processo nel quale lui e' stato condannato all'ergastolo''. Trascorsi una ventina di giorni dal vertice mafioso, si verifico' la strage di Capaci.
Nell'interrogatorio del 7 gennaio 1994 Cancemi rievoco' nuovamente il colloquio con Ganci :
Ganci mi confido' che Salvatore Riina si era incontrato con personaggi importanti proprio in relazione all'attentato in danno del giudice Falcone per ottenere in cambio una probabile revisione dei processi o altri favori, come per esempio la non approvazione della legge sui pentiti o comunque di non rendere possibile una legislazione sfavorevole all'organizzazione di Cosa Nostra.
Il boss pentito racconta che, alla fine degli anni Ottanta, Cosa Nostra decise di indirizzare i propri voti su alcuni candidati del Psi, anziche', come aveva sempre fatto, sulla Dc. Secondo il verbale del 18 febbraio 1994 Cancemi afferma :
Una cosa deve essere chiara, che queste 'persone importanti' non erano certo uomini di Cosa Nostra, perche' piu' importanti di Riina e Provenzano non ce ne sono all'interno dell'organizzazione, quindi i personaggi con cui Riina si e' incontrato li doveva cercare fuori dall'organizzazione.
Nel corso di quell'interrogatorio Cancemi parlo' anche di circostanze relative ai rapporti che Riina aveva in precedenza instaurato con persone che si dovevano considerare importani. Nella deposizione avrebbe parlato di Berlusconi e Dell'Utri. Su questo aspetto Cancemi tornera' in diversi interrogatoi : oltre che a Caltanisetta, anche nel corso delle deposizioni presso le procure di Palermo e Firenze (impegnata nelle indagini sulle stragi del 1993).
Secondo i verbali del 25 febbraio 1994, del 5 agosto 1996 e del 23 aprile 1998, sostanzialmente sovrapponibili e coincidenti, Cancemi racconta di essere stato convocato da Salvatore Riina tra il 1990 e il 1991, presso l'abitazione del mafioso Girolamo Guddo, e di aver partecipato a un incontro con Riina stesso, Raffaele Ganci e Salvatore Biondino. In quell'occasione Riina gli avrebbe ordinato di rivolgersi a Vittorio Mangano e di dirgli che doveva mettersi da parte nella gestione del rapporto con Berlusconi.
Riina infatti – ha spiegato Cancemi ai pm – considerava il rapporto con Berlusconi 'un bene per tutta Cosa Nostra' e voleva gestirlo direttamente: aveva inoltre detto allo stesso Cancemi che, se Mangano si fosse mostrato riluttante, avrebbe dovuto fargli presente che Riina non aveva dimenticaot uno sgarbo ricevuto, cioe' il fatto che Mangano avesse regalato un'arma al suo avversario Bontate.
Va sottolineato, a questo riguardo, che gli atti del processo Dell'Utri hanno portato alla luce altri aspetti. Il boss pentito Francesco Di Carlo ha raccontato ai giudici che gia' nel lontano 1974 si era svolto un incontro tra Berlusconi, Stefano Bontate (mafioso e massone) e Mimmo Teresi nella sede della Edilnord: un abboccamento, volto a garantire a Berlusconi e alla sua famiglia una 'protezione' dai rapimenti, favorito da Gaetano Cina', amico di Dell'Utri.
A un certo punto, nel 1991, quindi dopo la morte di Bontate, Cancemi ricevette, come s'e' detto, l'incarico di portare il messaggio di Riina a Mangano di 'farsi da parte'. L'incarico nasce in quanto Cancemi era il reggente del mandamento di Porta Nuova, cui apparteneva Mangano. Peraltro Cancemi sostiene di aver saputo direttamente da Mangano, che conosceva, dei suoi rapporti con Berlusconi. Tra il 1973 e il 1974 Mangano lavorava nella proprieta' di Arcore e aveva raccontato a Cancemi che nella villa avrebbero trovato riparo latitanti come Nino Grado, Francesco Mafara e Salvatore Contorno. Nell'interrotagatorio del 18 febbraio 1994 Cancemi racconta :
'Riina preciso' che secondo gli accordi stabiliti con Dell'Utri che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l'anno in piu' rate, in quanto erano dislocate a Palermo piu' antenne'.
Il collaboratore di giustizia afferma anche di essere certo che il rapporto fosse risalente quantomeno al 1989 e dichiara di aver assistito piu' volte alle consegne di questo denaro, in rate da circa 40-50 milioni :
'Queste rate venivano consegnate non so da chi a Pierino Napoli, reggente della famiglia di Malaspina, compresa nel mandamento La Noce. Ho visto personalmente, ripeto in piu' occasioni, Pierino Napoli consegnare al Ganci Raffaele il denaro proveniente dal Nord. Anzi posso aggiungere che piu' volte ho sentito personalmente Salvatore Riina dire a Ganci Raffaele, quando c'erano ritardi nelle consegne, 'Falluzzo, viri di viriri a Pierino se siggiu ddi picciuli, viri di sollecitari'' (Raffaele, vedi di dire a Pierino se ha riscosso i soldi, vedi di sollecitare).
L'ultima consegna di denaro da Pierino Napoli a Ganci, alla quale assistette Cancemi, sarebbe avvenuta dieci mesi prima dell'attentato a Falcone. Il pentito riferisce ancora che Riina gli disse che
Berlusconi doveva acquistare immobili da ristrutturare nella zona di via Maqueda a Palermo.
Su domanda del pubblico ministero, Cancemi racconta che i rapporti di Cosa Nostra con Dell'Utri e Berlusconi andavano dietro nel tempo; in una prima fase erano stati collegati con Stefano Bontate, Pietro Lo Iacono e Mimmo Teresi, della famiglia della Guadagna.
Da Mangano, Cancemi avrebbe saputo che anche Giovanni e Ignazio Pullara' avevano intrattenuto rapporti con Berlusconi e Dell'Utri.
In una deposizione resa sia ai pm di Caltanisetta che a quelli di Firenze, Cancemi ha parlato, poi, di un vertice guidato da Riina nel giugno del 1992, quindi nel periodo intercorso fra la strage di Falcone e quella di Borsellino. Nell'incontro in questione Riina parlo' delle richieste da far pervenire, ergastolo e sequestro dei beni. Nel verbale del 23 aprile 1998 si legge :
'Pm : E queste richieste in quell'occasione disse a chi dovevano essere rivolte?
Cancemi : Lui piu' volte ha detto che aveva queste persone nelle mani, quindi Berlusconi e Dell'Utri, quindi queste cose di lui le doveva girare a queste persone.
Pm : Si, ma nel corso di questa.... in questa riunione riprese il discorso chiarendo....
Cancemi : Si', lui in questa riunione dice che ci doveva fare avere queste cose erano queste persone, Berlusconi e Dell'Utri, i nome che ha fatto erano questi qua. Anche dopo, diciamo, parlava sempre di queste persone, anche dopo questo incontro mi ricordo che altre volte, un paio di volte, ha parlato sempre di queste persone.
Il collaboratore ha riferito che dopo l'arresto di Riina, nel gennaio del 1993, Provenzano gli avrebbe confermato l'intenzione di portare avanti la linea stragista di Riina, tesa a porre in difficolta' lo Stato e a convincerlo a trattare.
In un interrogatorio del 17 giugno 1999 relativo a un altro procedimento (Agate Mariano + 26) nel quale Cancemi stesso era imputato per la strage di via D'Amelio, il collaboratore ha parlato della determinazione di Riina a uccidere Borsellino, ricevendo la Ganci un commento preoccupato :
''Questo ci vuole rovinare tutti''. Cancemi ha parlato esplicitamente anche della fretta di Riina nel portare a termine l'omicidio:
Io ho capito che Riina aveva premura, come vi devo dire,
di una cosa veloce, aveva... io avevo intuito questo, che il Riina questa cosa la doveva... la doveva
fare al piu' presto possibile, come se lui aveva preso qualche impegno.
Le dichiarazioni di Angelo Siino
Anche Angelo Siino, il ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra, gioca un ruolo nelle indagini coperte su Berlusconi e Dell'Utri. Siino viene interrogato il 28 novembre 1997 dalla procura di Caltanisetta, ma parlera' delle vicende relative alle stragi anche con i magistrati di Firenze che indagavano sulla bomba agli Uffizi.
Siino – come abbiamo gia' visto - parla dei rapporti tra mafia e imprenditoria. Racconta dell'avvicinamento del gruppo Ferruzzi-Gardini alle imprese di costruzioni di Cosa Nostra che versavano in difficolta'. Siino racconta di come Falcone sorvegliasse attentamente il fenomeno – di qui la famosa espressione del magistrato ''La mafia sta entrando in borsa''- e del timore che il magistrato avesse intuito i legami di Cosa Nostra con il partito socialista. Stando alle dichiarazioni dello stesso Siino ai pm, Nino Gargano e Pippo Madonia gli avrebbero detto, mentre era detenuto :
''Provenzano sta cercando di agganciare di nuovo Craxi! Se ci riusciamo...''.Berlusconi, sempre stando a quanto ha dichiarato Siino, era considerato un tramite per giungere a Craxi; un'occasione propizia potevano essere gli attentati alla Standa (di proprieta' di Berlusconi), effettuati a Catania tra il 1990 e il 1991 e utilizzati come mezzo di pressione : ''Nel momento che il signor Berlusconi si veniva a lamentare, 'nuantri putivamo... accussi' videmu d'agganciari Craxi tramite Berlusconi''.
Il 2 gennaio 1998 il collaboratore di giustizia, deponendo davanti ai pm di Firenze, ha riferito di una riunione a Catania in cui si sarebbe parlato dell'''aggancio'' ai vertici del Psi, cui avrebbero partecipato Nitto Santapaola, Eugenio Gallea, Vincenzo Aiello e Giovanni Bursca. Successivamente
sarebbe stato Santapaola a dire a Siino che , durante l'incontro, Brusca gli aveva chiesto di realizzare gli attentati alla Standa per stimolare un contatto con Craxi.
Siino ha raccontato poi di colloqui in carcere con un altro mafioso, Antonino Gioe', il quale gli parlo' – come persona da utilizzare nella trattativa- di Massimo Maria Berruti, un ex ufficiale della Guardia di Finanza che, a dire di Gioe', era in contatto con Toto' di Ganci, rappresentante della famiglia di Sciacca. Berruti e' l'ufficiale che, dopo aver fatto le verifiche fiscali alle imprese edilizie di Berlusconi,(il 24 ottobre 1979 Silvio Berlussconi riceve la visita di tre ufficiali della Guardia di finanza nella sede dell'Edilnord. Si chiamano Massimo Maria Berruti, Salvatore Gallo e Alberto Corrado. Berlusconi si qualifica come ''un semplice consulente esterno'' addetto ''alla progettazione di Milano 2'' In realta' e' il proprietario unico della societa', intestata a Umberto Previti, padre di Cesare. Ma i militari fingono di crederci e chiudono in tutta fretta l'ispezione, sebbene abbiano riscontrato alcune anomalie. Berruti, il capopattuglia, lascera' le Fiamme gialle poche mesi dopo, per andare a lavorare alla Fininvest come avvocato d'affari -societa' estere, contratti per i calciatori del Milan-.Arrestato nel 1985 nell'ambito dello scandalo Icomec e poi assolto, tornera' in carcere nel 1994, insieme a Corrado, per i depistaggi nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di Finanza. Gallo, invece, risultera' iscritto alla loggia p2) ha poi gettato la divisa alle ortiche per passare alle sue dipendenze come legale. Oggi siede nei banchi del Parlamento come deputato di Forza Italia, nonstante una condanna definitiva a otto mesi per una vecchia storia dell'epoca di Mani Pulite. Berruti e' anche lo specialista che, insieme all'avvocato inglese David Mills, creo' la galassia di societa' estere utilizzata per la compravendita di diritti televisivi.
Siino rivela che il boss Leoluca Bagarella – cresciuto in termini di potere, dopo la cattura di Riina, sino al punto di impensierire Provenzano – nel 1993 doveva incontrare Berruti per avviare dei contatti con Craxi. Bagarella aveva in animo una serie di attentati al patrimonio monumentale italiano, un progetto che, a dire di Siino, fu comunicato a Berruti. Di questo progetto Siino parlo' con il generale Mori e con il capitano De Donno, che nel 1993 lo contattarono per indurlo a collaborare.
Siino ha dichiarato anche di aver appreso da Michele Camarda, persona vicina a Gioe', che dietro le stragi del 1992 vi erano 'appoggi esterni' e che Cosa Nostra sin dall'attentato a Falcone era stata 'autorizzata'.
Le rivelazioni di Giovanni Brusca
Le dichiarazioni di Giovanni Brusca, uno degli artefici della strage di Capaci, hanno un ruolo controverso nell'indagine sui mandanti occulti. Brusca ha confermato che l'eliminazione di Falcone era stata studiata gia' sin dalla fine del 1990. E ha riferito che, durante uno degli inconti preparatori, commento' con Riina che quell'attentato avrebbe impedito al senatore Andreotti di diventare presidente della Repubblica. Brusca ha raccontato anche del progetto di Riina di eliminare una serie di referenti politici che si erano rivelati inaffidabili, tanto che dopo la strage di Capaci gli affido' il compito di eliminare l'onorevole Mannino, incarico che poi venne sospeso perche' si decise di concentrarsi su un obiettivo piu' importante : Paolo Borsellino.
In una di quelle riunioni Brusca seppe da Riina di quello che il boss chiamo' il ''papello'', cioe' un messaggio- da destinare a personalita' importanti e a figure istituzionali- che conteneva le condizioni imposte da Cosa Nostra allo Stato per cessare le stragi.
Brusca ha dichiarato ai pm di essere venuto a conoscenza , nel periodo compreso tra la strage del 23 maggio e quella del 19 luglio 1992, dell'esistenza di una trattativa condotta da Riina per ottenere benefici in tema di revisione dei processi, sequestro dei beni e collaboratori di giustizia. Dopo la strage di Via D'Amelio, per agevolare la ripresa e la definizione di una trattativa, Riina chiese che venisse portato a termine un ulteriore attentato nei confronti di un rappresentante delle istituzioni: come obiettivi possibili vennero individuati Alfonso Giordano e Pietro Grasso. Dell'esistenza della trattativa di cui parla Brusca si trae conferma dalle dichiarazioni del generale Mario Mori e del maggiore Giuseppe De Donno relativamente ai rapporti con Vito Ciancimino, che sarebbe stato utilizzato come tramite.
Brusca nelle sue deposizioni ha confermato, inoltre, le indicazioni di Cancemi su uno scambio di opere d'arte trafugate (tramite Paolo Bellini un personaggio che tornera' spesso in questa vicenda),
(Paolo Bellini un emiliano che si era recato in Sicilia con l'asserito compito di curare un'attivita' di gestione e recupero crediti aziendali, risulto' prima in contatto con appartenenti al Nucleo tutela del patrimonio artistico dei carabinieri e poi con ufficiali del Ros e della Dia)
per ottenere vantaggi carcerari destinati a cinque persone. Tra i beneficiari Riina aveva indicato Pippo Calo', ritenuto dagli inquirenti il cassiere della mafia a Roma e in seguito imputato dell'omicidio di Roberto Calvi.
Brusca ha raccontato agli inquirenti una serie di episodi dai quali aveva ricavato le convizioni che Riina avesse come suo consigliere politico Gaetano Cina' : un'indicazione forte, in quanto Cina' frequentava Dell'Utri e aveva frequentato al residenza di Arcore. Cina', inoltre, era colui che aveva organizzato l'incontro di Berlusconi con Stefano Bontate e Mimmo Teresi nella sede della Edilnord gia' nel lontano1974
.Brusca ha confermato, poi, di essersi rivolto a Mangano tra il 1993 e il 1994, per sapere se fossero vere le indiscrezioni di circolate sul settimanale ''l'Espresso' in merito a rapporti di Berlusconi e dell'Utri con la mafia e di avere ricevuto conferma dalla stalliere :
Gli chiedo a Vittorio Mangano se era vero o non era vero (..) e quello mi conferma tutto paro paro :
''Si, vero e'''. Allora dico : ''Sei in condizioni di ripristinare, cioe' di riprendere un'altra volta i contatti con Berlusconi?''. Dice : ''Si'', dice ''Fammi vedere''. Va a Milano, torna e mi porta la risposta che e' a disposizione, cioe' c'e' il contatto di potere riprendere con Silvio Berlusconi, pero' non gli domando tramite chi.
Il 21 settembre 1999, sentito dai pm di Firenze, Brusca ha dichiarato di ricordare che nel corso degli anni 1982-83 Ignazio Pullara', reggente della famiglia di Santa Maria del Gesu' a partire dall'arresto del fratello Giovan Battista, gli diceva che a Berlusconi e a Canale 5 '' gli faceva uscire i picciuli'', che venivano erogati con un versamento mensile. Pullara' gli disse di essere subrentato in un rapporto gia' instaurato da Stefano Bontate, che nel frattempo era stato ammazzato. Queste notizie sono state consegnate anche ai pm nisseni in un interrogatorio del 26 giugno 1999.
Brusca ha ammesso, inoltre,in una delle varie deposizioni, di aver inviato a Berlusconi, tramite Mangano, un messaggio : il Cavaliere avrebbe potuto sfruttare le circostanze politiche dell'epoca per 'attaccare il governo precedente, che era un governo di sinistra, anche se era un governo tecnico, ma era un governo di sinistra, e che se lui non sarebbe venuto incontro a noi con certe esigenze avremmo continuato''.
Nonostante queste pesanti indicazioni, quando a Brusca e' stato chiesto di riferire in merito a possibili rapporti di Cosa Nostra con Berlusconi e Dell'Utri, Brusca non si e' detto in grado di fornire indicazioni specifiche di sua diretta esperienza.
Le dichiarazioni di Salvatore Cucuzza
A sollevare qualche dubbio su possibili reticenze di Brusca e' il boss del mandamento di Porta Nuova Salvatore Cucuzza che in, che in un interrogatorio del 18 maggio 1999 alla procura di Firenze (processo di Corte d'Assise contro Giuseppe Graviano + 3) racconta degli stretti rapporti esistenti tra Mangano e Brusca.
Nonostante il potentissimo Pippo Calo', il cassiere di Cosa Nostra detenuto in carcere, non si sentisse garantito da Mangano, che era stato nominato reggente del mandamento di Porta Nuova, Brusca e Bagarella insistettero perche' quel ruolo fosse mantenuto, assumendosene ogni responsabilita'.
''Cucuzza ha spiegato che questa predilezione per Mangano dipendeva dal fatto che in Cosa Nostra tutta erano noti i suoi agganci '' a livello politico'', ai quali sia Brusca sia Bagarella tenevano molto. Tanto che si giunse al compromesso di una co-reggenza di Mangano e Cucuzza'' segnala Simone Falanca. Secondo Cucuzza, Vittorio Mangano riusci' a tenere stretti a se' Brusca e Bagarella proprio in virtu' dei rapporti con Dell'Utri e non assunse mai alcuna iniziativa senza tenerli informati. Il collaboratore ha, poi, confermato le dazioni di Berlusconi prima a Bontate, poi a Teresi, infine a Pullara'.
Nel 1994, dopo un periodo di carcerazione, Cucuzza torno' a parlare con Mangano dei suoi rapporti con Dell'Utri. E Mangano gli disse di essere ancora in contatto con lui e che grazie a lui '' poteva influenzare qualche cosa (...) di interesse naturalmente di Cosa Nostra'''.
Bruga e Bagarella, per convincere Cucuzza della necessita' di mantenere Mangano ai vertici del mandamento di Porta Nuova, nonostante le perplessita' del potente Pippo Calo', gli spiegarono che attraverso Dell'Utri Mangano aveva fatto conoscere in anticipo della possibilita' di ottenere una disciplina favorevole a Cosa Nostra in relazione al noto ''decreto Biondi'',(Il 13 luglio 1994, il governo Berlusconi emano' un decreto legge (il cosiddetto ''decreto Biondi'', dal nome dell'allora ministro della Giustizia) che favoriva gli arresti domicialiari nella fase cautelare per la maggior parte degli indagati per corruzione. Il Pool di Mani Pulite annuncio' l'autoscioglimento in televisione, menre Bossi e Fini minacciariono di far cadere il governo,. Il decreto venne cosi' ritirato) poi ritirato in seguito alle polemiche suscitate.
Per Mangano, ha rivelato ancora Cucuzza, veniva tenuto in affitto un ufficio a Como, all'interno del quale egli diceva di incontrare Dell'Utri, che arrivava in elicottero. Secondo quanto Cucuzza ha riferito di aver sentito da Mangano, Dell'Utri mandava a dire : '' Non fate rumore, perche' altrimenti ci mettete in condizione di non potere fare niente''; e anche ''Si, faremo, faremo, pero' stiamo attenti, non facciamo succedere cose''.
Il senatore aveva anche pronunciato che all'inizio del 1994 sarebbero state adottate normative con aspetti piu' vantaggiosi per Cosa Nostra.
Quanto al disegno stragista, Cucuzza ha indicato come propria fonte di informazione Brusca, che gli avrebbe parlato della strategia di Cosa Nostra di portare lo Stato a una trattativa e dell'impegno di Riina in questo senso, profuso avvalendosi di persone che ''aveva nelle mani''.
Le deposizioni di Cucuzza disegnano percio' un ruolo diverso di Brusca nella piu' ampia strategia di Cosa Nostra.
I rapporti preferenziali tra Brusca e Mangano e l'interessamento di Dell'Utri alle sorti di quest'ultimo, dopo che era stato arrestato, sono state confermate anche da un altro collaboratore di giustizia, Vincenzo La Piana, nel corso di interrogatori resi ai pubblici ministeri di Milano (5 e 6 novembre 1997), Torino e Palermo (3 dicembre 1997).
Le dichiarazioni di Tullio Cannella
Le indagini sui mandanti occulti prendono in considerazione anche le dichiarazioni di Tullio Cannella, un mafioso divenuto collaboratore di giustizia che viene interrogato dai pm di Caltanisetta il 28 maggio e il 23 luglio 1997, ma che offre elementi rilevanti anche ad altre procure (verbale dell'interrogatorio reso il 17 luglio 1997 ai pm di Palermo).
Bagarella era gia' perfettamente a conoscenza che era in cantiere la discesa in campo di Silvio Berlusconi a capo di un nuovo movimento politico che ci avrebbe assicurato, in virtu' di impegni preesistenti, di risolvere le questioni che piu' stavano a cuore a Cosa Nostra e cioe' : pentimenti, carcere duro e reato di associazione mafioso. Chiarisco che queste erano, per cosi' dire, le priorita' che l'accordo con Berlusconi ci avrebbe consentito a breve termine di affrontare e di risolvere. Questa strategia non escludeva, anzi camminava di pari passo, con quella separatista.
Cannella, nelle sue deposizioni, ha insistito sugli impegni preesistenti di Berlusconi con uomini di Cosa Nostra, sottolineando che l'accordo era stato coltivato dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, potenti boss di Brancaccio, per conto di tutta l'organizzazione, negli anni 1991-92 (i Graviano, dopo una lunga latitanza, vennero arrestati in una trattoria di Milano il 28 gennaio 1994).
Cannella ha detto di aver appreso dell'esistenza di presunti rapporti tra Berlusconi e i Graviano da Bagarella. Sempre Bagarella disse :
A Roma si era costituito un ottimo rapporto con il costruttore Franco Caltagirone, a sua volta in rapporto con Giulio Andreotti. Dico meglio, i Graviano avevano ripreso un vecchio rapporto che il Caltagirone aveva avuto con Cosa Nostra sin dai tempi di Stefano Bontate. A Milano i rapporti, sempre per quanto dettomi da Bagarella e confermatomi da Cesare Lupo, erano stati costituiti da Marcello Dell'Utri con cui i Graviano si incontravano personalmente. La nascita ed il consolidarsi delle relazioni di cui ho appena detto concretizzo' definitivamente un rapporto di amicizia e di collaborazione su tutti i fronti con Dell'Utri e conseguentemente con Berlusconi.
Questa non e' solo una mia deduzione
ma fu oggetto di numerose conversazioni con Leoluca Bagarella, oltre
che con altri uomini di Cosa Nostra.
Cannella ha poi parlato di una serie
di attivita' svolte da uomini di Cosa Nostra al fine di sostenere
Berlusconi nella competizione elettorale del 1994.
Quando Berlusconi tenne l'ultimo
comizio della sua campagna elettorale a Palermo presso la Fiera del
mediterraneo, io ero presente su incarico di Bagarella. Riferii poi,
allo stesso Bagarella, di una frase di Berlusconi cui i manifestava
un vago proposito di utilizzare i voti ''contro la delinquenza''.
Bagarella mi disse che era una frase ''obbligata'' per l'opinione
pubblica e per i giornalisti, dato che si era contestato al
Berlusconi che non parlava mai di mafia; ma in quella stessa
occasione mi assicuro', ancora una volta, che lo stesso aveva preso
'impegni seri' con noi, intendendo con tutta Cosa Nostra.
Nell'interrogatorio del 7 novembre
1997 Cannella e' tornato sugli accordi tra Berlusconi e Cosa Nostra e
sui contatti curati dai Graviano :
'Nel gennaio 1994, mentre ci trovavamo
presso il mio studio ubicato a Palermo, via Nicolo' Gallo numero 14,
ove Leoluca Bagarella con frequenza quasi quotidiana soleva
raggiungermi, avevo un colloquio con quest'ultimo. Nell'occasione
chiedevo al mio interlocutore come mai Cosa Nostra si era determinata
a commettere le stragi in Sicilia nel 1992 e quelle successive nel
continente nel 1993 e quali garanzie avevano avuto loro dal mondo
politico e istituzionale per evitare le prevedibili conseguenze
negative ricollegabili a tali fatti eclatanti (...) A fronte di tale
mio articolato ragionamento, il Bagarella replico', per
tranquillizzarmi, dicendomi di non preoccuparmi perche' avevano avuto
''delle garanzie'' e che si trattava solo di vedere se gli impegni
presi sarebbero stati mantenuti subito dopo le elezioni. Non mi
preciso', in questa sede, da chi erano state date le garanzie, ma mi
assicuro' che comunque ''l'operazione era stata studiata bene'' e che
vi era la possibilita' di accollare le stragi a organismi
terroristici del tipo ''Falange Armata''
Le dichiarazioni di Gioacchino Pennino
Importanti ai fini investigativi sono
state ritenute anche le dichiarazioni rese dal collaboratore di
giustizia Gioacchino Pennino, il 3 e 13 marzo 1998 e il 22 aprile
1998.
Pennino ha riferito di notizie apprese
all'interno di Cosa Nostra sui rapporti intrattenuti da Mangano con
Berlusconi e dai Graviano con Dell'Utri.
In un verbale del 13 marzo 1998, interrogato sulle stragi di
Capaci e via D'Amelio, Pennino ha dichiarato di aver appreso da due
fonti che Silvio Berlusconi era il mandante delle stragi del 1993.La
prima fonte era un medico, il dottor Giuseppe Ciaccio, uomo d'onore
di una famiglia dell'Agrigentino; la seconda era Pinuzzo Marsala,
uomo d'onore della famiglia di Santa Maria del Gesu'.
Dalle indagini del Gruppo Falcone e
Borsellino e' emerso che Giuseppe Ciaccio era effettivamente un
radiologo, fin dal 1974 sottoposto ad accertamenti in seguito alle
dichiarazione del collaboratore Leonardo Vitale, che lo indico' come
affiliato a Cosa Nostra. Ciaccio era morto il 25 agosto 1995, cosi'
come era deceduta l'altra fonte, Giuseppe Marsala, che aveva contatti
con il senatore Vincenzo Inzerillo e con il senatore Cerami,
personaggi indicati da vari collaboratori di giustizia come
interlocutori di Cosa Nostra. Marsala mori' il 5 aprile 1997
gettandosi dal balcone della sua abitazione. Le dichiarazioni di
Pennino, essendo 'de relato' e non riscontrabili per la morte dei due
uomini, sono state giudicate inutilizzabili.
Le dichiarazioni di Maurizio Avola
Maurizio Avola, un collaboratore di
giustizia appartenente alla famiglia Santapaola e legata al boss Aldo
Ercolano, fu interrogato dalla Corte d'assise di Caltanisetta il 9
aprile 1999 per la strage di via D'Amelio. Avola ha riferito che, nel
settembre 1992, si tenne una riunione a Catania – cui parteciparono
Riina, Eugenio Galea , Marcello D'Agata, Aldo Ercolano, Alfio Fichera
e lo stesso Avola – in cui si discusse della nascita di un nuovo
partito. Avola ha affermato di aver appreso da D'Agata che, per
sostenere il nuovo partito, era necessario portare avanti un attacco
violento allo Stato. E che questo attacco era stato delegato a Cosa
Nostra gia' all'inizio del 1992, prima delle stragi di Capaci e di
via D'Amelio.
Avola ha raccontato ai pubblici
ministeri di Messina, nell'interrogatorio del 25 maggio 1999:
'Tutto deriva dai contatti (..) tra
Alfano e Dell'Utri. A Messina alla fine del 1991 ci sono stati degli
incontri cui hanno partecipato Alfano, Sparacio e Dell'Utri e alcuni
uomini d'onore della famiglia catanese di Cosa Nostra.
Secondo Avola, dopo gli attentati alla
Standa di Catania, Alfano fece da mediatore per conto della famiglia
catanese con Marcello Dell'Utri e allaccio' con lui un rapporto
diretto.
La citata riunione a Messina della
fine del 1991 sarebbe servita a Cosa Nostra per consentire a una
forza politica nuova di assumere posizioni di potere, affinche' la
rappresentasse in luogo dei precedenti referenti politici che
l'avevano tradita. Il progetto prevedeva l'eliminazione di personaggi
pubblici particolarmente rappresentativi tra politici e magistrati.
Secondo Avola, la cui collaborazione
e' stata segnata tuttavia da ripensamenti,crisi e ritorni, gia' dai
primi mesi del 1992 Falcone era stato individuato come obiettivo e il
boss D'Agata gli aveva detto
che era in corso la fase preparatoria
dell'attentato. Avola sostiene che in quel periodo aveva curato il
trasporto di una certa quantita' di esplosivo con la consapevolezza
che sarebbe servito alla strage di Capaci.
Va notato che molte delle
ricostruzioni relative alla nascita di Forza Italia trovano una
conferma nella figura di Ezio Cartotto, un ex-democristiano che
insiemea Dell'Utri ideo' e creo' il nuovo partito. Cartotto in
svariate deposizioni ha attestato come il progetto di Forza Italia
fosse vivo gia' a meta' del 1992 e non due-tre mesi prima delle
elezioni del 1994, come sostenuto ad esempio da Francesco Cossiga.
Le divergenze all'interno del pool di
Caltanisetta e il bilancio delle indagini
Nel 2000 il pool della procura di
Caltanisetta, avvicinandosi alla data di scadenza dei termini di
proroga delle indagini, entro' in una situazione di stallo.
In un saggio pubblicato su
'Micromega', Marco Travaglio riassume cosi' la situazione :
'Si e' molto discusso delle
dichiarazioni di Brusca e Cancemi su Berlusconi e Dell'Utri: secondo
i pm Tescaroli, Palma e Di Matteo, esse sono abbastanza convergenti e
complementari (secondo le rispettive conoscenze dei due capimafia) da
far ipotizzare, a carico dei due fondatori di Forza Italia, il reato
di concorso in strage e, alla scadenza delle indagini, da
giustificare una richiesta di archiviazione per insufficienza di
prove, non certo perche' emergesse la loro totale estraneita' ai
fatti
Secondo il procuratore capo di
Caltanisetta Giovanni Tinebra (poi promosso dal governo Berlusconi
alla presidenza del Dipartimento amministrazione penitenziaria),
invece, Brusca e Cancemi si contraddicono: dunque la richiesta di
archiviazione deve essere pienamente liberatoria. Cosi' la richiesta
di archiviazione approntata da Tescaroli viene riscritta da Tinebra
(membro della lobby massonica del kiwanis ndr) con la penna intinta
di miele, cancellando tutti i riferimenti scomodi sul Cavaliere e sul
suo braccio destro. Ora i giudici della Corte d'assise d'appello
sembrano dare ragione a Tescaroli. Si legge infatti nella sentenza
del 23 giugno 2001 : ''Le dichiarazioni rese da
Salvatore Cancemi si sono saldate con
quelle provienti da Giovanni Brusca. Tra le due ricostruzioni offerte
dai collaboranti vi e' una sostanziale convergenza''.
Luca Tescaroli ricostruisce il clima
di quei difficili giorni dell'ottobre 2000 alla procura di
Caltanisetta e, per quanto attiene al nodo dell'archiviazione, cerca
di fare chiarezza.
''Io dico questo : all'interno dello
Stato c'e' stata la massima collaborazione per ricercare la verita'
fino a quando si e' trattato di andare avanti nelle indagini e nei
processi nei confronti degli esecutori, dei mandanti interni
all'organizzazione. E vi e' stato uno sforzo corale da parte di tutti
anche in seno all'ufficio. Io stesso sono stato posto nelle
condizioni di seguire le indagini sulla strage di Capaci;sono stato:
sono stato esonerato – da quando e' partito il processo – da
quasi tutti gli impegni professionali. E questo denota che vi e'
stato un contributo, una collaborazione da parte dei vertici
dell'ufficio. Man mano che il tempo passava, tuttavia, la situazione
e' cambiata, soprattutto quando si e' trattato di investigare in una
certa direzione. Questo sforzo corale io non l'ho piu' avvertito. Io
sono rimasto a Caltanisetta fino alla fine del 2000 ma certamente
qualcosa, nel corso degli anni, era cambiato''.
Quali sono gli elementi che rendono
visibile questo cambiamento di clima all'interno del pool?
''Io non vorrei lanciare accuse nei
confronti di nessuno, ma la realta' oggettiva e' questa : la
situazione era cambiata. Io ho avvertito un proposito di investigare
in questa direzione in maniera incondizionata da parte di Antonino Di
Matteo e di Anna Palma, senza riserve; cosi come da parte di Carmelo
Petralia. Insieme abbiamo cercato di fare quanto era possibile, ma
alla fine sono rimasto solo io, perche' Petralia ha cessato la sua
applicazione nel luglio del 1998 e ha assunto altri incarichi, Di
Matteo e' andato a fare il sostituto procuratore a Palermo nei primi
mesi del 1999 e Anna Palma, a distanza di un po' di tempo, e' andata
alla procura di Palermo, come procuratore aggiunto. Quindi ci sono
stati vari fattori che hanno inciso, ma certo lo scompaginamento del
pool ha avuto un effetto destabilizzante su quell'indagine....''.
Tescaroli cerca di spiegare un aspetto
tecnico importante.
''Io scrissi due bozze di richieste di
archiviazione : la prima nel mese di luglio 2000, la seconda
nell'ottobre successivo. Nessuna di queste iniziative fu condivisa
dai vertici dell'ufficio (a quel punto eravamo rimasti in tre : io,
Tinebra e Giordano).Scrissi questo provvedimento, ma non piacque
perche' le valutazioni in ordine alle fonti di prova che alimentavano
questa indagine non erano ritentute condivisibili. I vertici
dell'ufficio ritenevano necessaria una richiesta di archiviazione
completamente liberatoria. E io ritenevo che non potesse esserlo.
Furono i miei due colleghi a non firmarla, credo che questo debba
essere chiarito. Non solo non venne firmata, ma all'atto della
presentazione della mia seconda bozza di richiesta di archiviazione
venne integrato il nostro team di magistrati con l'inserimento di un
altro collega, Salvatore Leopardi, il quale sino a quel momento non
si era mai occupato delle stragi. Poi la mia applicazione cesso' il
29 ottobre 2000 e non venne piu' rinnovata''.
C'e' un altro aspetto importante, in
quelle delicata inchiesta, che e' stato spesso trascurato.
''Il punto e' che, parallelamente
all'indagine sui mandanti, ve ne era un'altra aperta, quella relativa
a Filippo Alberto Rapisarda''.
Filippo Alberto Rapisarda e' un
finanziere, legato ai fratelli Marcello e Alberto Dell'Utri, con i
quali lavoro', che ha affermato che tra la fine del 1978 e l'inizio
del 1979 i boss Stefano Bontate e Mimmo Teresi sarebbero diventati
soci occulti di Berlusconi, riciclando 10 miliardi di lire, frutto
delle loro attivita' illecite. Rapisarda afferma che le somme vennero
consegnate a Dell'Utri in sacche di tela scusa da due uomini d'onore.
L'ingente quantita' di denaro sarebbe stata consegnata a Berlusconi
nella villa di Arcore e -sempre secondo Rapisarda- sarebbe stata poi
utilizzata per attivita' imprenditoriali.
Nonostante le affermazioni di
Rapisarda si sommino a quelle del collaboratore Francesco Di Carlo,
contro il finanziere si scateno' una guerra, combattuta non solo
dagli avvocati di Berlusconi e Dell'Utri, ma anche da alcuni
magistrati, che lo volevano incriminare per calunnia.
''Questo e' un aspetto fondamentale,
perche' alcuni miei colleghi volevano mandare a giudizio per calunnia
Rapisarda, che poi fu anche uno dei testi di accusa del processo
Dell'Utri. Io ho formalmente espresso il mio motivato diniego,
perche' gli elementi di prova non consentivano di ipotizzare nei suoi
confronti un reato di calunnia''.
Perche' si voleva delegittimare
Rapisarda?
''Il processo Dell'Utri era ed e' un
processo uguale a tutti gli altri, quindi i criteri di valutazione
della prova devono essere gli stessi. Io motivai le mie osservazioni,
ma i colleghi della procura di Caltanisetta gia' preparavano l'avviso
di conclusione delle indagini e mi invitarono a firmarlo in bianco.
Io non accettai, perche' per ogni procedimento devo conoscere le
carte sino in fondo prima di esprimere una valutazione ragionata. Io
non ho firmato quell'atto nei confronti di Rapisarda, motivando la
mia scelta con una nota in cui ne spiegavo le ragioni''.
Nella vicenda di Rapisarda, teste
fondamentale nel processo a carico di Dell'Utri, intervennero forti
pressioni esterne.
''Il punto era questo : l'imputazione
che doveva essere mossa a Rapisarda era la falsa accusa da parte sua
di aver ricevuto da Stefano Bontate e Mimmo Teresi 10 milardi di
lire, frutto delle attivita' illecite di Cosa Nostra. Mentre questo
dato di prova era nell'atto di accusa del processo contro Dell'Utri.
Il ''Corriere della Sera'' pubblico' la notizia per cui io, invece,
avrei sostenuto la necessita' di incolpare Rapisarda. Evidentemente
la notizia era stata diffusa ad arte. Certamente non sono stato io,
perche' non avevo alcun interesse a farlo e la notizia era
clamorasamente falsa, qualcuno quindi ha voluto usare politicamente
la giustizia. Io non accetto atteggiamenti di questo tipo : feci una
smentita formale al ''Corriere della Sera''''.
Torniamo alla vicenda dei mandanti
occulti. La bozza Tescaroli,.il testo della sua richiesta di
archiviazione, in cosa differiva dal testo di Tinebra e Giordano?
''La tesi fondamentale di Tinebra e
Giordano era che le dichiarazioni di Cancemi e Bruscsa si
contraddicevano. Cosa che invece non era, descrivevano semplicemente
due aspetti diversi della realta'''.
Tescaroli descrive quei mesi
difficili.
''E' stato un periodo di grande
difficolta' , per piu' ragioni. La prima era che avevo in corso
contemporaneamente diversi procedimenti particolarmente impegnativi.
Fu per me il periodo piu' estenuante, con ritmi ai confini della
sopportazione. Arrivavo a lavorare fino a diciotto ore al giorno. Al
contempo, dovevo sostenere il carico ordinario delle assegnazioni
alla procura di Roma, sostanzialmente senza un ufficio e senza la
collaborazione di alcun ufficiale di polizia giudiziaria.
A Caltanisetta vivevo nell'albergo San
Michele, la mia fidanzata che nel frattempo era diventata mia moglie,
era a Roma, ero costretto a percorrere anche piu' volte alla
settimana il tragitto Roma-Caltanisetta. Avevo imparato a lavorare in
macchina, in aereo e sino a notte inoltrata.
''Un giorno fui convocato dal dottor
Tinebra nel suo ufficio. Erano presenti i colleghi assegnatari del
procedimento Rapisarda, che avevano preparato un avviso di
conclusione delle indagini preliminari nei suoi confronti (un atto di
accusa). Me lo esibirono per farmelo firmare.
Nonostante l'invito pressante, dissi
che in quel momento non potevo farlo e mi riservai di rivisitare
tutti gli atti per poter maturare una mia convizione, da discutere
nel caso in cui non fosse stata in linea con la proposta''.
Chiediamo a Tescaroli se la richiesta
di archiviazione per Berlusconi-Dell'Utri sia precedente o successiva
al suo diniego a firmare il decreto per Rapisarda.
''E' dello stesso periodo. La mia
seconda bozza e' del 23 ottobre 2000, mentre riuscii a predisporre il
mio parere su Rapisarda il 21 ottobre 2000. Ricordo quei giorni in
modo molto particolare, perche' soppesai con il massimo impegno ogni
singolo elemento di prova per il formarmi un convicimento scevro da
qualsiasi condizionamento esterno''.
Tescaroli sottopose la sua bozza di
archiviazione per Berlusconi-Dell'Utri a Tinebra, Giordano e
Leopardi.
Mentre Tinebra e Giordano presentarono
una loro richiesta di archiviazione nei confronti di Berlusconi e
Dell'Utri successiva.
''Il gip Giovanbattista Tona, quando
gia' avevo lasciato la procura di Caltanisetta, accolse la richiesta
di archiviazione presentata dalla procura. Ho letto il decreto di
archiviazione, perche' pubblicato a piu' riprese: sposo' in realta'
la mia posizione.
''Non e' questa la sede in cui
analizzare le singole risultanze, benche' siano state rese pubbliche
integralmente. Va sottolineato, pero', che la motivazione di
quell'atto fu del tutto in linea con quella
che avevo posto a fondamento della
richiesta che avevo preparato e che i vertici dell'ufficio non
vollero condividere. Non fu completamente liberatoria, non rilevo' le
contraddizioni tra le dichiarazioni di Brusca e Cancemi e non ritenne
l'indagine priva di fondamento.
''La legge e' e deve essere uguale per
tutti, non devono essere fatti sconti per nessuno. Io credo in
questo, profondamente. Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla
legge, esiste un principio cardine che e' quello della
obbligatorieta' dell'azione penale, che e' garanzia di uguaglianza
per tutti i cittadini e che impone di non distinguere sulla base del
censo, della posizione sociale, del ruolo rivestito, all'interno
della comunita' nella quale viviamo. Io questa prospettiva si deve
lavorare.
''Io sono un magistrato e sono
sottoposto alla legge. Credo che inserire una discriminazione nel
trattamento tra le varie persone sai un 'vulnus' nel principio di
uguaglianza. Derogare a questo fondamentale principio puo' essere
foriero di gravissime conseguenze ed essere il viatico per assicurare
l'impunita' a soggetti che detengono il potere.
I beneficiari di certi provvedimenti
legislativi non possono essere coloro che li decidono, pena
una rottura del sistema, del contratto
sociale: come dire che c'e' una persona che si autoassolve, si
autoesclude dal sistema. In ogni caso, esiste la Corte
costituzionale, che e' preposta ad accertare la costituzionalita'
delle norme''.
Torniamo alle indagini. Ci sono
diversi collaboratori di giustizia che parlano dei mandanti esterni
delle stragi, che descrivono una sorta di patto segreto con Riina. Le
dichiarazioni di Cancamei, Ganci, Brusca, Cucuzza, Avola sono pezzi
diversi di un'unica realta'?
''Potrebbero esserlo. Sul punto
occorre indagare. Non tutti i collaboratori di giustizia hanno lo
stesso grado di affidabilita'. Ogni dichiarazione va attentamente
vagliata. In seno a Cosa Nostra, nei casi in cui ci si trovi dinanzi
a realta' complesse, la stessa cosa puo' non essere conosciuta da
tutti gli uomini d'onore, sia pure autorevoli, nella sua
integralita'. Rispetto ai rapporti che Riina ebbe nel periodo dello
stragismo, Brusca e Cancemi-che, non dimentichiamolo, facevano parte
della Commissione provinciale di Cosa Nostra-non avevano una visione
complessiva. Salvatore Cancemi e' reo confesso della strage di Capaci
e di via D'Amelio. Giovanni Brusca ha confessato il suo
coinvolgimento nella strage di Capaci, e' colui che ha premuto il
telecomando che ha provocato l'esplosione. Io credo che le loro
dichiarazioni debbano essere analizzate in maniera attenta e critica
sulla base dei criteri fissati dalla giurisprudenza, che rispondono a
principi di buon senso.Cancemi ha reso le sue dichiarazioni in
maniera progressiva, e bisogna individuarne le cause.
C'e' poi un altro dato che non va
dimenticato : Cancemi e Brusca sono stati riconosciuti attendibili in
moltissimi processi, tanto e' vero che entrambi hanno ricevuto la
speciale attenuante per la collaborazione''.
Il pensiero di Tescaroli e' chiaro: su
un tema cosi ' delicato la procura doveva continuare a indagare e
tentare di raggiungere una visione unitaria.
''Si e' accertata l'esistenza di
un'unica strategia terroristica-eversiva, che includeva non solo la
strage di Capaci e di via D'Amelio, ma in quel momento era molto piu'
ampia. C'era un progetto criminale aperto, che prevedeva
l'individuazione sin dall'inizio di una serie di obiettivi e che
doveva completarsi fino al raggiungimento dello scopo
dell'organizzazione: quello di combattere i nemici, eliminare gli
'amici' che avevano tradito e creare le premesse per nuovi rapporti
con soggetti esterni all'organizzazione mafiosa in grado di far
fronte alle aspettative di Cosa Nostra.
''Una visione unitaria che imponeva di
proseguire le investigazioni e di abbandonare la visione
parcellizzata limitata ai soli episodi stragisti del 1992. Questo era
il mio intendimento. Mi dispiace di non essere riuscito a convincere
i colleghi che sono stati coassegnatari del procedimento...''.
Tescaroli compie un bilancio di quelle
indagini cosi' delicate e mostra il suo rammarico per gli attacchi
strumentali che gli sono stati rivolti.
''Dal 1994 e sino alla data di
scadenza dell'applicazione alla Direzione distrettuale antimafia di
Caltanisetta- il 29 ottobre 2000-curai le investigazioni, svolte
nell'ambito di piu' procedimenti penali, volte a individuare
ulteriori responsabili, a livello ideativo e deliberativo, del
disegno stragista. Fu un impegno che attiro' su di me numerosi e
ingiusti attacchi, provenienti da esponenti di mass media
politicamente orientati, che mi indussero a sporgere querele per
diffamazione nei confronti di vari giornalisti, i quali sono stati
poi riconosciuti colpevoli di avermi deliberamente offeso. Tali
comportamenti contribuirono a rendere piu' complicato il gia'
difficile lavoro che stavo svolgendo e mi costrinsero persino a
spiegare pubblicamente le ragioni delle indagini che stavo conducendo
e la correttezza delle stesso''.
Le indagini su Alfa e Beta, ovvero
Berlusconi e Dell'Utri, resero Tescaroli un obiettivo politico?
''Il fatto stesso di procedere a
investigazioni nei confronti degli onorevoli Silvio Berlusconi e
Marcello Dell'Utri aveva assunto, agli occhi di alcuni, aspetti
disdicevoli. Fui accusato anche di voler lasciare una 'macchia
infamante' nella storia dei due uomini politici, con la
predisposizione di una richiesta di archiviazione del procedimento
diversa da quella di Tinebra e dei colleghi.
Venne detto che le dichiarazioni di
Brusca e Cancemi erano contraddittorie. Fui accusato di portare
avanti teoremi fantasiosi. Persino di recente e' stato scritto che mi
ero rifiutato di firmare la richiesta di archiviazione e che non
volevo archiviare il procedimento. In realta', le cose non andarono
cosi'. Come ho detto, io scrissi dui bozze di richiesta di
archiviazione, che non sono state condivise dai coassegnatari del
procedimento. Ero e sono convinto, voglio ribadirlo, che le
investigazioni debbano essere svolte senza riguardi per nessuno in
ossequio al principio 'La legge e' uguale per tutti'', che campeggia
nelle aule dei tribunali del nostro paese''.
Tescaroli riassume gli elementi
raccolti, richiamando le risultanze dibattimentali che gli fanno
ritenere che le indagini dovessero essere approfondite.
''E' utilie rievocare, in estrema
sintesi, gli elementi di prova emersi e le valutazioni espresse sui
presunti mandanti a volto coperto nei processi a carico dei
responsabili delle stragi di Capaci e via D'Amelio, che non solo
legittimarono, ma resero doveroso quanto feci. Comincio dai
principali collaboratori di giustizia.
''Angelo Siino racconto' di aver
appreso da Nino Gargano e da Giuseppe Madonia che nei primi anni
Novanta Bernardo Provenzano stava adoperandosi ''per agginaciare
Craxi tramite Berlusconi''.
''Successivamente, Antonio Gioe' gli
avrebbe riferito che Leoluca Bagarella, tramite un ex ufficiale della
Guardia di Finanza, stava cercando di contattare una persona
influente vicina all'onorevole Craxi, e che tal fine era necessario
'fare piu' rumore possibile'', alludendo a futuri attentati, per
consentirgli poi di intervenire per fare sistemare ''la situazione in
Italia'' a favore di Cosa Nostra.
Insomma, fare la guerra per fare la
pace.
''Salvatore Cancemi, al processo
d'appello per la strage di Capaci, rivelo' che Riina, prima della
strage, si era incontrato con ''persone importanti' e gli aveva
riferito che si trattava di Dell'Utri e Berlusconi. Aggiunse che
appartenenti al gruppo Fininvest versavano periodicamente 200 milioni
di lire a titolo di contributo a Cosa Nostra. Sottolineo' che Riina
se era attivato, dagli anni 1990-91, per coltivare
direttamente-mettendo in disparte Vittorio Mangano, che fino a quel
momento li aveva gestiti- i rapporti con i vertici della Fininvest
tramite Craxi. Cancemi non seppe precisare se e come Riina avesse
preso il controllo diretto di questo rapporto, ma ricollego' la
stagione stragista proprio a tale avvicendamento fra Mangano e Riina.
Poi aggiunse che Riina, nel 1991, gli aveva riferito che Berlusconi e
Dell'Utri erano ''interessati ad acquistare la zona vecchia di
Palermo'' e che lui stesso (Riina) si sarebbe occupato dell'affare,
avendo i due personaggi 'nelle mani'. Le indicazioni sui versamenti
da Fininvest a Cosa Nostra hanno trovato puntuali conferme da altri
collaboratori (Francesco Paolo Anzelmo, Aurelio Neri, Giovan Battista
Ferrante, Antonino Galliano, Calogero Ganci) e da alcuni riscontri
oggettivi.
''Giovanni Brusca affermo' anche lui
che Berlusconi 'mandava qualche cosa giu' come regalo, come
contributo, come estorsione'' a suo cugino (di Brusca), Ignazio
Pullara'. Quest'ultimo inviava un certo Contorno (omonimo del noto
pentito) e Zanga a ritirare il denaro negli anni 1981-83.
''Salvatore Cancemi racconto' che in
una riunione, circa venti giorni prima di Capaci, Riina aveva fatto
presente che esistevano accordi con Berlusconi e Dell'Utri per una
serie di leggi favorevoli all'organizzazione, intervenenti
sull'autorita' giudiziaria e garanzie dalle conseguenze derivanti
dalla strage di Capaci. Parlo' di contatti tra i vertici di Cosa
Nostra e soggetti capaci di orientare le leggi in senso favorevole
all'organizzazione, intercorsi sia prima sia dopo l'arresto di Riina.
Aggiunse che-nella riunione tenutasi
per brindare alla strage di Capaci e deliberare quella di via
D'Amelio, presenti anche Raffaele Ganci e Salvatore Biondino-Riina
confermo' con una frase (''La responsabilita' e' mia'') di aver
ricevuto precise garanzie in favore di Cosa Nostra, nonostante
l'imminente eclatante attentato, da parte delle 'persone importanti
(che indico' in Dell'Utri e Berlusconi) alle quali aveva presentato
una serie di richiesta : ''far annullare 'sta legge sui pentiti'',
abolire l'ergastolo, eliminare o affievolire la legge sul sequestro
dei beni e cosi' via.
In quell'occasione (fra la strage di
Capaci e quella di D'Amelio), Cancemi riferi' che Riina disse :
''Io mi sto giocando i denti, possiamo
dormire sonni tranquilli: ho Dell'Utri e Berlusconi nelle mani,
che questo e' un bene per tutta Cosa
Nostra.(...)Queste persone sono quelle che ci devono portare del
bene, e noi li dobbiamo garantire ora, e nel futuro di piu'''.
''Giovanni Brusca dichiaro' di aver
saputo anche a lui, fra la strage del 23 maggio e quella del 19
luglio 1992, di una trattativa condotta da Riina per ottenere
benefici in tema di revisione dei processi, sequestro dei beni,
collaboratori di giustizia ecc. Dopo via D'Amelio, per agevolare la
ripresa e la definizione del negoziato, richieste l'effettuazione di
un ulteriore attentato contro un rappresentante delle istituzioni,
individuato nel presidente del maxiprocesso Alfonso Giordano o
nel giudice Piero Grasso.
Eliminato Salvo Lima-racconto' Brusca-
si 'andavano' a cercare nuovi contatti''. Un canale era rappresentato
dall'impresa Reale. Dopo la strage di Capaci, incontro due volte
Riina a tu per tu e gli chiese :
''Come va?Che si dice? Che notizia
abbiamo?Reazioni?''.
La prima volta, dieci-quindici giorni
dopo la strage, Riina rispose che i suoi interlocutori 'volevano
portare a questo Bossi'', che Riina considerava un pazzo e che non
gli interessava. La secondo, una o due settimane prima di via
D'Amelio, Riina gli confido' che 'si sono fatti sotto'.
Tre o quattro mesi dopo, tramite
Salvatore Biondino (coinvolto nelle stragi di Capaci e via D'Amelio e
arrestato in compagnia di Riina il 15 gennaio 1992), Riina gli fece
sapere : ''Si sono fermati, ci vuole un altro colpetto'', cioe' un
nuovo attentato.Brusca si attivo' per colpire il giudice Pietro
Grasso.Riina gli disse anche di aver consegnato a questi
interlocutori ''un papello'' con le sue richieste.
Brusca allora non sapeva che fossero
quegli interlocutori ma, su sollecitazione degli inquirenti, ha fatto
delle deduzioni basate su fatti vissuti e ha concluso che potessero
essere Antonino Cina' -uomo d'onore del clan di San Lorenzo, vicino a
Dell'Utri e Berlusconi- e Vito Cincimino. Brusca collego', poi, la
trattativa con il progetto politico-imprenditoriale di Riina, che
mirava a sostituire l'Impresem (riconducibile al costruttore Filippo
Salomone, che non si era ' messa a disposizione' di Cosa Nostra), con
l'impresa Reale, che avrebbe dovuto diventare l'anello di
congiunzione tra Cosa Nostra e il mondo politico e istituzionale e al
contempo consentire un ritorno economico tramite la gestione degli
appalti.
Il collaboratore e' giunto a questa
correlazione dopo aver ascoltato la deposizione resa, sulla
trattativa tra il Ros e Cosa Nostra tramite Ciancimino, dal capitano
De Donno al processo di Firenze sulle stragi del 1993.
''Dunque Cancemi e Brusca non si
contraddicono affatto, semplicemente riferiscono ciascuno la propria
porzione di conoscenza, che rappresenta una parte di una realta' piu'
complessa, da nessuno dei due conosciuta per intero. Cancemi era in
condizione privilegiata rispetto a Brusca per sapere dei contatti di
Riina con le ''persone importanti': infatti Mangano, che in passato
aveva coltivato quelle relazioni, e' un uomo d'onore del suo
mandamento ed era stato proprio Cancemi a convincerlo a mettersi in
disparte, per lasciar gestire direttamente quei rapporti a Riina. Per
tutti questi motivi le indicazioni di Brusca e quelle di Cancemi
devono ritenersi complementari.
''I dati probatori sulle iniziative di
Cosa Nostra per individuare nuovi canali politico-istituzionali non
finscono qui. Maurizio Avola riferi' che negli ultimi mesi del 1992
si svolse a Palermo una riunione dei rappresentanti delle varie
'provincie' siciliane alla quale aveva partecipato Eugenio Galea,
vicerappresentante provinciale di Catania : Riina espose il piano
strategico dell'organizzazione, che consisteva nell'attacco allo
Stato che avrebbe consentito di 'togliere il vecchio'' sistema
politico e creare un clima favorevole per l'affermazione di un nuovo
soggetto politico. La riunione si colloca senza dubbio in una
congiuntura particolare, poiche' il livello dello scontro con lo
Stato si era fatto consistente e le 'trattative' erano in corso,
mentre altre forme di aggressione nei confronti delle istituzioni
erano in cantiere. L'accostamento delle indicazioni di Avola a quelle
di Cancemi e Brusca consente di inquadrare le ipotesi di trattativa
e gli attentati in un'azione volta a propiziare l'affermazione di una
nuova forza politica''.
Questi sono, in sinstei, i dati che
portarono Tescaroli, ma anche altri due magistrati, a convicersi
della fondamentale compatibilita' e coerenza tra le dichiarazioni dei
pentit.
''Sulla stessa linea da me eseguita, i
pubblici ministeri Antonino Di Matteo e Anna Maria Palma,
nella requisitoria del processo via
D'Amelio ter, comparando le dichiarazioni di Brusca e di Cancemi rese
in quel processo, le hanno definite 'complementari, univoche e
plausibili, nella parte in cui collocano i rapporti fra Riina e
personaggi esterni all'organizzazione mafiosa nel giugno 1992''.
Da questi e molti altri elementi,
Tescaroli ha tratto una convinzione che non e' solo giudiziaria, ma
etica e deontologica.
''Questi dati, acquisiti nei
dibattimenti, non solo giustificano, ma obhligano qualunque
magistrato inquirente a investigare. E gli impongono di porre ai
collaboratori domande utili ad accertare la verita': anzitutto a
Salvatore Cancemi a proposito degli eventuali ''suggeritori' esterni
a Cosa Nostra.
Invece, la sera stessa in cui Cancemi
fu interrogato nel processe via D'Amelio ter, si scateno' una levata
di scudi per stigmatizzare l'operato dei magistrati che avevano osato
porre domande al collaboratore, senza interromperlo quando faceva
riferimento ai discorsi di Riina su Berlusconi e Dell'Utri. Vi furono
persino rappresentanti delle istituzioni che colsero l'occasione per
affermare che i pentiti erano sempre meno credibili, senza conoscere
gli esiti delle indagini ne' le dichiarazioni dei collaboratori.
''Reazioni impensabili se elementi di
prova di quel calibro fossero state acquisite sul conto di un
indagato per un furto al supermercato o uno scippo ai danni di una
vecchietta. Ma ormai sempre piu' spesso l'equanimita' viene tacciata
di faziosita'.Qualcuno vorrebbe una magistratura che garantisca come
'legibus soluti' i detentori del potere e i loro amici, affossando in
concreto il principio cardine della nostra civilta' giuridica:
l'obbligatorieta' dell'azione penale''.
Tescaroli compie un'amara
considerazione in merito al rapporto tra informazione e potere.
''Mi resi conto di come, nel nostro
paese, vi siano vari personaggi dotati di tanto potere da riuscire a
condizionare l'esito dei processi mettendo in campo una macchina
della 'informazione' capace di delegittimare le fondi di accusa e di
rappresentare i magistrati come soggetti scorretti, portatori di
interessi diversi da quello del ripristino della legalita' violata.
Mi parve di essere tornato al 1989, alla famigerata estata del
'Corvo' di Palermo, con una nuova intossicazione dell'informazione
per delegittimare alcuni magistrati e investigatori che hanno cercato
di svolgere doverose indagini a fronte di precise notizie di reato.
Mi dispiacque che si sia sentito il bisogno di demolire i risultati
raggiunti, anziche' implementare gli strumenti investigativi per
rispondere ai molti quesiti emersi dai dibattimenti sulle stragi.
Ritenevo e ritengo importante creare un pool temporaneo
sovraterritoriale di magistrati, trasversale alle singole procure,
che convogli le migliori energie ed esperienze professionali e
continui a lavorare sulle stragi del 1992-93 e sul tema connesso del
riciclaggio''.
Nella riflessione di Tescaroli c'e'
spazio anche per un bilancio personale.
''Quanto alla mia persona, rivendico
con orgoglio di aver fatto il mio dovere senza riguardi per nessuno.
Invero le indagini di cui mi occupai, volte a dare un volto ai
committenti esterni, si indirizzarono verso varie piste e non si
esaurirono certamente in quelle nei confronti degli onorevoli
Berlusconi e Dell'Utri. Ulteriori spunti investigativi furono
acquisiti e coltivati nell'ambito di altri procedimenti penali nei
confronti di altri indagati sui quali non posso riferire, essendo
vincolato al segreto. Cio' solo per dire che svolsi il mio lavoro con
assoluto rigore.''
Tescaroli svela tuttavia alcuni
aspetti cruciali e inediti.
''Posso, pero', richiamare alcune
indicazioni emerse nel corso dei dibattimenti che inducevano a
ricercare i mandanti esterni nell'oscuro mondo della massoneria e
negli ambienti istituzionali dei servizi segreti. Il collaboratore di
giustizia Francesco Di Carlo riferi' di aver ricevuto, in epoca
successiva al fallito attentato dell'Addura, due visite a distanza di
quattro-sei mesi l'una dall'altra, all'interno dell'istituto
penitenziario britannico di Full Sutton, da parte di soggetti
appartenenti ai servizi segreti, interessati all'eliminazione del
dottor Falcone, fece il nome di Antonino Gioe', che poi fu
effettivamente contattato. Va rilevato che Gioe' svolgera'
affettivamente, un ruolo nevralgico nell'esecuzione della strage di
Capaci. Questi, il 29 luglio 1993, venne trovato cadavere, per
circostanze non del tutto chiarite, in una cella di Rebibbia(Antonino
Gioe', autorevole esponente della famiglia mafiosa di Altofonte, il
giorno dell'attentato a Capaci si trovava con Brusca sulla collinetta
da dove venne inviato il segnale radiocomandato che determino'
l'esplosione. Venne ritrovato impiccato alle grate della cella di
Rebibbia. Lascio' una lettera testamento dal contenuto enigmatico, in
cui fece riferimento a Paolo Bellini. Si scopri che Bellini fu
l'intermediario di una delle trattative in corso con rappresentanti
delle istituzioni).
''L'ipotesi di una convergenza di
interessi di settori deviati dei servizi segreti venne corroborata
dal rinvenimento di un bigliettino sul luogo della strage del 23
maggio 1992 con l'annotazione 'Guasto numero 2 portare assistenza
settore numero 2. GUS, via Selci numero 26, via Paciotti'' e un
numero di cellulare risultato intestato a Lorenzo Narracci,
funzionario del Sisde. Angelo Siino riferi' di aver ricevuto una
visita, sul finire dell'estate del 1990 e, comunque, prima del
trasferimento di Falcone a Roma, di un autorevole personaggio
appartenente alla massoneria, il quale gli aveva detto che se il
magistrato non fosse stato trasferito da Palermo sarebbe stato
ucciso. Forse il governo Andreotti-Martelli aveva favorito il
trasferimento di Falcone a Roma, offrendogli un alto incarico
ministeriale, anche per il reale interesse di allontanarlo dalla
Sicilia e impedire cosi' ulteriori investigazioni per scoprire
intrecci politico-mafiosi-finanziari. Una congettura che in qualche
modo poteva essere avvalorata dal fatto che la proposta per il nuovo
incarico proveniva da un'aerea politica (il Psi) che nel passato
aveva dimostrato, a detta di molti collaboranti, di non essere
impermeabile a intese elettorali con Cosa Nostra''.
Tescaroli cita un passo importante
della sentenza di Corte d'appello relativo alla strage di Capaci.
Parole inquietanti, se si considera che provengono dalla sentenza di
un tribunale.
''Vorrei ricordare che nella sentenza
della Corte d'appello che defini' il processo d'appello per la strage
di Capaci si legge:
Si puo' affermare che il progetto di
aggressione nei confronti dello Stato e' stato promosso e pianificato
dai vertici dell'organizzazione Cosa Nostra con il proponimento di
incidere, nel volgere del tempo, sugli assetti di potere esistenti,
condizionando la formazione dei nuovi, correlativamente all'evolversi
della vita istituzionale del paese, in un'ottica volta a individuare
nuovi referenti politici capaci di assicurare benefici e di
intervenire sulla legislazione vigente di contrasto al crimine
organizzato. (...) Per perseguire tali finalita', mutando
radicalmente atteggiamento rispetto al passato, Cosa Nostra ha posto
in essere un attacco frontale nei confronti dello Stato attraverso
una concentrazione di azioni eclatanti e destabilizzanti in un breve
lasso temporale (...). L'esistenza di eventuali, quanto non
improbabili mandanti occulti, che restano sullo sfondo di questa
vicenda, costituisce il principale enigma a cui questo processo non
ha dato una convicente e esaustiva risposta (...). Appare necessario
indagare nelle opportune direzioni per individuare gli eventuali
convergenti interessi di chi a quell'epoca era in rapporto di
reciproco scambio con i vertici di Cosa Nostra ed approfondire, se e
in che misura, sussista un collegamento tra le indagini di
Tangentopoli e la campagna stragista, e infine per meglio sviscerare
i collegamenti e le reciproche influenze con gli eventi
politico-istituzionali che si verificano in quegli anni.
''Il divenire criminale di Cosa Nostra
produsse un'azione eversiva e terroristica che oggettivamente
contribui' a disarcionare le classi dirigenti e creare le condizioni
per l'affermazione di forze politiche nuove, capaci di riportare
stabilita' e sicurezza tra i cittadini. E' una lunga serie di
episodi, collegati da un filo rosso: dall'uccisione dell'onorevole
Salvo Lima il 12 marzo 1992, alle stragi di Capaci e di via D'Amelio,
dall'attentato nei confronti del giornalista Maurizio Costanzo agli
attentati contro i monumenti di Firenze, Roma e Milano, sino
all'episodio dello stadio Olimpico''.
Ci fu qindi un salto di qualita', dopo
le morti di Falcone e Borsellino. La mafia si propose in maniera
aperta come antistato, come soggetto politico con il quale e'
necessario trattare?
''Quelli del 1992-93 non sono piu' i
comportamenti tradizionali della mafia. Cosa Nostra era diventata
improvvisamente un'organizzazione terroristica, di stampo colombiano.
I boss hanno spiegato, in sede processuale, che la situazione era
eccezionale, che occorreva preparare il terreno a 'uomini nuovi'.
Uomini che Cosa Nostra riteneva di poter influenzare e che, dunque,
avrebbero ottenuto dalla mafia il risultato immediato di riportare la
calma. Parallelamente si svilupparono rapporti tra i boss e membri
delle istituzioni. Durante i processi abbiamo appurato che l'idea di
attaccare i monumenti venne da Paolo Bellini, uomo in contatto con i
carabinieri. Cosa Nostra aveva chiesto benefici carcerari per alcuni
suoi boss, offrendo in cambio il recupero di importanti opere d'arte.
Durante questi contatti, che poi non dettero i risultati sperati,
Bellini in sostanza avrebbe detto : '' Pensate a cosa accadrebbe se
gli italiani si trovassero senza la Torre di Pisa o il Colosseo.
L'Italia sarebbe in ginoccho''.Certo sembra folle. Ma gli attentati
ai monumenti ci furono. E noi accertammo altri contatti tra mafia e
settori delle istituzioni. A un certo punto il maggiore De Donno e il
generale Mori, entrambi carabinieri, entrarono in relazione con Vito
Ciancimino per la cattura di Riina e Provenzano. Un fatto e' certo: i
boss ricevettero segnali di 'disponibilita'' istituzionali che, nella
loro prospettiva, erano una prova della bonta' della strategia e
della necessita' di adoperarsi per avere nuovi referenti nelle
istituzioni. Nuovi da ogni punto di vista''.
Alcuni momenti nevralgici di quella
stagione di sangue rimangono, nonostante le indagini e i processi
celebrati, ancora oscuri.
''Si pensi al ritrovamento di un'auto
piena di esplosivo a circa cento metri da palazzo Chigi, in via dei
Sabini, nelle vicinanze di piazza Colonna, proprio nella giornata
della festa della Repubblica del 1993. Un'azione rivendicata da una
misteriosa formazione, la Falange Armata, mai entrata nei racconti
dei collaboratori di giustizia. Oppure al misterioso guasto,
apparentemente senza spiegazione, al centralino di Piazza Chigi dalle
ore 0.22 alle 3.02 del 28 luglio 1993. Poco chiara e' rimasta anche
la sparizione dell'agenda che Paolo Borsellino portava sempre con
se',la famosa agenda rossa sottratta dalla borsa sul luogo della
strage. Cosi' come le cause e le modalita' di cancellazione
dell'agenda elettronica (che, dalle annotazioni rilevate, puo' farsi
risalire a un periodo immediatamente antecedente o successivo alla
data della strage) e il mancato rinvenimento della 'ram card' del
databank Casio di Giovanni Falcone. Oscuro risulta l'interesse di
appartenenti alla massoneria al trasferimento di Giovanni Falcone
dagli uffici giudiziari palermitani; il rinvenimento del biglietto
nella zona dell'agguato di Capaci; il tardivo affiorare di ricordi
sugli incontri avvenuti nel giugno 1992 tra Paolo Borsellino e
ufficiali del Ros.
Fa riflettere anche la singolare
coincidenza temporale tra l'arrivo in Sicilia di Paolo Bellini e la
sua presa di contatto con Antonino Gioe', che era impegnato nella
fase preparatoria della strage del 23 maggio 1992.
''Si tratta di interrogativi la cui
risposta richiederebbe un rinnovato impegno investigativo ai quali
non sono riuscito, durante la mia permanenza a Caltanisetta, a dare
una risposta certa. Tali quesiti denotano una carenza conoscitiva non
accettabile in un paese democratico e non possono essere lasciati al
lavoro degli storici. Sono convinto che bisognerebbe spazzare via con
fatti concreti e concludenti ogni dubbio circa l'eventuale
disponibilita' di qualcuno ad assecondare la crescente richiesta di
mafia che si respira nel paese''.
L'addio a Caltanisetta
Torniamo a Caltanisetta. Nel mentre la
procura si accinge a chiedere l'archiviazione dell'inchiesta si
mandanti occulti, Tescaroli lascia la citta'.
''Era una giornata di autunno
inoltrato del 2000 quando varcai per l'ultima volta le due porte che
davano accesso all'ufficio del procuratore della Repubblica di
Caltanisetta. In quell'ultima fase della mia permanenza avevo, tra
l'altro, preparato una voluminosa richiesta di misure cautelari nei
confronti di 59 indagati al termine di una pluriennale
investigazione, che aveva consentito di individuare l'esistenza di
un'associazione a delinquere di stampo mafioso, radicata in Gela e
con proiezioni operative in varie parti del paese, dedita
prevalentementee alla perpetrazione di estorsioni e al traffico
trasnazionale di stupefacenti importati dall'Albania, smistati in
Puglia e distribuiti in Sicilia, in Piemonte, in Liguria, in
Lombardia e in altre localita' d'Italia. Quelle indagini avevano
impedito, durante la prima decade dell'agosto 2000, l'esplosione di
una guerra di mafia in seno alla famiglia gelese di Cosa Nostra; di
sventare un sequestro di persona nei confronti dell'imprenditrice di
Orbetello Guja Serperi nel corso del febbraio-marzo 2000; di scoprire
che un sottufficiale dell'aeronautica forniva armi e munizioni ai
clan, che aveva stretto un'alleanza con appartenenti alla
criminalita' albanese; di sequestrare, a piu' riprese, significativi
quantitativi di sostanze stupefacenti (nell'ordine di centinaia di
chili) e di catturare tre pericolosi latitanti. Un giovane di Gela,
Valerio Biondo, si era determinato a collaborare con la giustizia, si
era coraggiosamente infiltrato nella struttura mafiosa e, attraverso
una microspia installata nel suo cellulare, aveva consentito di
vivere in presa diretta il susseguirsi frenetico degli avvenimenti
criminali.
''Avevo anche predisposto, essendo
scaduti i termini massimi di durata delle indagini, la gia' citata
seconda versione della richiesta di archiviazione nell'ambito del
procedimento penale nei confronti di coloro che erano sospettati-gli
onorevoli Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri- di essere i
famigerati mandanti occulti delal stagione stragista.
''Inoltre, appena terminata la
requisitoria nel processo di primo grado per la strage dell'Addaura,
avevo redatto una documentata nota per spiegare le ragioni del mio
motivato dissenso a firmare l'avviso di conclusione delle indagini
preliminari nei confronti di Filippo Alberto Rapisarda.
Dovevo consegnare il frutto di alcune
di quelle ultime fatiche che mi avevano rubato il sonno per diverse
motti e che avevano ingenerato tensioni e incomprensioni. Dopo un
ultimo incontro con il capo dell'ufficio, Tinebra, salutai i miei
collaboratori che per anni mi avevano onestamente aiutato con spirito
di abnegazione. Ero consapevole del fatto che probabilmente non li
avrei piu' rivisti e che a Caltanisetta non sarei piu' tornato. Mi fu
di conforto il fatto che il comandante generale e il capo di stato
maggiore dei carabinieri, che avevo incontrato qualche giorno prima a
Roma, avessero autorizzato il carabiniere Ciro Fanfarillo, che da
circa un anno lavorava con me, a seguirmi.
Cosi lasciai Caltanisetta per un
viaggio di sola andata verso Roma. Il tratto di autostrada sino
all'aeroporto di Catania mi apparve identico a come l'avevo visto la
prima volta, nel giugno del 1992, come se il tempo non fosse
trascorso: i lavori che ostacolavano la circolazione all'altezza di
una delle gallerie erano perennemente in corso, erano sempre allo
stesso punto come una tela di Penelope. Mentre procedevo accompagnato
dai miei angeli custodi, che per molto tempo mi avevano seguito come
un'ombra, una strana serenita' mi pervadeva, le tensioni e le molte
difficolta' sembravano superate, quasi cancellate. La consapevolezza
di aver fatto tutto quanto era nelle mie possibilita' senza aver
ceduto a compromessi mi dava una sensazione di benessere. Pensai alla
tante, troppe vittime di mafia di cui mi ero occupato e augurai ai
loro familiari di trovare la serenita' ingiustamente perduta.
Auspicai che Falcone e Borsellino fossero gli ultimi di una lunga
serie di servitori dello Stato caduti nell'adempimento del loro
lavoro. Pensai agli amici sinceri che, nonostante tutto, avevo
trovato''.
Il bilancio di quegli anni e' per
Tescaroli comunque positivo.
''Erano stati raggiunti risultati
importanti nel contrasto a Cosa Nostra, molti di piu' di quelli che
avrei potuto auspicare quando arrivai. L'atteggiamento della
magistratura e delle forze dell'ordine dinanzi al crimine mafioso era
mutato e l'impegno nel contrasto a quell'atavica piaga della terra di
Sicilia era divenuto un fattore collettivo che coagulava sempre
piu'''.
Fonte : Colletti sporchi di Ferruccio
Pinotti e Luca Tescaroli