La storia vera della fine di Ceausescu e della dittatura in Romania. Altro che rivoluzione ... colpo di stato straniero ...
Ogni tanto incontro qualcuno che mi
racconta qualcosa che finisce nei file obsoleti dell' hard disk per poi
saltar fuori quando meno te lo aspetti, nello specifico tempo fà
incontrai un meccanico Rumeno parecchio acculturato che mi disse che la
storia raccontateci su Nicolae Ceausescu erano tutte palle. Perchè ne
parlo ora ? Perchè gli attori son sempre gli stessi FMI, CIA, KGB e
compagnia danzante. Ho raccolto una serie di articoli per raccontare la
vera storia che non differisce da tante altre e ne è anche accomunata,
una serie di articoli perchè ognuno tratta una parte della storia e
preferisco in genere lasciare gli originali aggiungendo qualche commento
quando serve.
La storia inizia il giorno che Ceausescu arriva a Teheran per incontrare Gheddafi e Khomeyni, a Timisoara in Romania il reverendo Laszlo Tokes diede il via alla rivolta, vedremo dopo i dettagli, quì stà il bello se così si può chiamare ...
In generale ci fidiamo poco delle
rivoluzioni. Prese di Palazzi d’Inverno, marce su Roma, primavere arabe
sono più che altro colpi di Stato. Ci aveva già avvertito un pamphlet
scritto nel 1931 da Curzio Malaparte, testimone del sorgere di comunismo
e fascismo: le rivoluzioni moderne sono colpi di Stato. Dunque, non
avevamo dubbi sul fatto che a quella categoria appartenesse anche la
rivoluzione rumena del dicembre 1989, quella che culminò con la
fucilazione del dittatore Nicolae Ceausescu e di sua moglie Elena.
Ciò che potevamo solo immaginare, tutto
il contorno di tradimenti, complicità interne ed estere, opportunismi e
crimini, lo ha raccontato con dovizia di particolari Grigore Cristian
Cartianu, caporedattore del più letto quotidiano romeno, in un libro che
ha interessato parecchio i suoi connazionali. Sono circa duecentomila
le copie vendute in patria di “La fine dei Ceausescu”, un’accuratissima
inchiesta giornalistica, frutto di una ricerca ventennale. Possiamo
leggerla anche noi italiani grazie all’editore Aliberti e al traduttore e
curatore Luca Bistolfi.
Il puzzle composto da Cartianu, che in
Romania si è già arricchito di altri due volumi, mostra una realtà molto
più squallida di quella propagandata dal nuovo corso rumeno. Il
giornalista afferma che se ci fu una giusta rivolta popolare contro il dittatore, finì il 22 dicembre 1989, giorno della fuga in elicottero dei Ceausescu. Poi iniziò la controrivoluzione ben più sanguinaria, responsabilità non del despota in fuga ma degli esponenti del regime più vicini all’Urss. Cartianu
chiama pesantemente in causa anche Ion Iliescu, primo ministro fino a
pochi anni fa, il quale pare abbia replicato più con insulti che con
argomenti.
Ma procediamo con ordine, torniamo a
quel dicembre 1989: la perestrojka di Gorbaciov sta sgretolando la
Cortina di Ferro, il Muro è appena crollato. Alla fine di novembre il
“Conducator” Ceausescu è stato riconfermato ed idolatrato come duce del
paese, ancora fresche sono dichiarazioni di stima di insigni
personalità, anche italiane, come Giulio Andreotti e Nilde Iotti. Però
il vecchio dittatore comunista non intende accettare le novità di Mosca,
meno che mai mettere in discussione il suo potere ultra quarantennale,
il culto della sua personalità e della compagna Elena (la scienziata che
ha collezionato lauree in tutto il mondo senza aver finito le
elementari). Un mese dopo i due finiranno “ammazzati come bestie
selvatiche”.
Dato che la Romania non si sta adeguando
alle riforme democratiche e liberali, Bush padre e Gorbaciov si son
trovati d’accordo sulla necessità di detronizzare Ceausescu. Con ogni mezzo necessario. Non
è una missione impossibile, l’Urss è penetrata da anni dentro la
Romania, ha fedeli nell’esercito, presso il ministero dell’Interno,
nella polizia segreta, la famigerata Securitate. Agli uomini del Cremino
non era piaciuta affatto la presa di posizione di Ceausescu contro
l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, né l’ostentata rivendicazione
di sovranità nazionale. Ecco il perché degli uomini fidati nei posti
giusti, ora finalmente utili. Inoltre, in quel dicembre ’89 molti
sovietici attraversarono il confine con la Romania, troppi per non
destare dubbi: quasi settantamila (con visto turistico NdR). Il popolo
non amava certo Ceausescu, voleva liberarsene, ma i moti popolari non
furono del tutto spontanei. Qui potrebbero finire le responsabilità
dirette del Cremino (con la complicità statunitense) e cominciare quelle
di chi applaudiva fino a qualche giorno prima, di chi volle quasi un
rito espiatorio per mondarsi mediaticamente dal peccato comunista.
La rivolta di Timisoara fece cadere
Ceausescu nella trappola di ordinare la repressione più violenta, di
imporre la legge marziale che lo porterà alla tomba. Salita la marea
della protesta, non rimase ai due coniugi che un fuga penosissima, con
tappa simbolica nella casa di un esperto in derattizzazioni. Catturati
da chi fino a qualche ora prima ubbidiva loro, il dittatore e la moglie
furono costretti a mangiare pane raffermo, dormire su letti di ferro e a
fare i bisogni dentro un bidone di plastica. L’ultima notte la
passarono dentro un mezzo anfibio, il giorno dopo, 25 dicembre, “primo
Natale libero dopo quasi mezzo secolo di comunismo anticristiano”, i
congiurati avevano già deciso la condanna a morte, lasciando cadere la
proposta d’esilio avanzata da Washington.
La parabola dei Ceausescu si chiuse con
la beffarda nemesi, un processo stalinista fuori da ogni minima tutela
giuridica, risolto in poco più di un’ora. Come andò a finire si vide
nella televisioni di tutto il mondo, anche se con qualche taglio nel
montaggio: i loro cadaveri crivellati contro un muro.
Iniziava un’epoca di pace per la
Romania? Mica tanto, se il buongiorno si vede dal mattino. E se il
mattino fu quello del 14 giugno 1990, quando il governo finalmente “democratico” della Romania decise di sedare definitivamente gli spiriti di rivolta e libertà accora accesi. Spedì così a Bucarest dalla provincia remota ventimila minatori armati di sbarre di ferro,
tutti convinti di dover sedare un complotto “fascista”. Per due giorni
seminarono il terrore in città aggredendo oppositori, giornalisti e
persone prese a caso.
Eccola, la Rivoluzione..
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Abbiamo visto in linea di massima la storia, l'amico meccanico mi raccontò che la Romania aveva appena terminato di pagare il debito pubblico. Stralcio parti del prossimo articolo perchè veramente lungo, gli antefatti si possono leggere nell'originale..
Romania 10 dicembre, 2009
1. LA ROMANIA ENTRA NEL GATT, NEL FMI E NEL BIRD
Tra il 1967 e il 1968, alcuni passi
intrapresi dal governo romeno gettarono le basi per un cambiamento
significativo nei rapporti di Bucarest con Washington. Infatti nel 1967
la Romania mostrò la propria autonomia nei riguardi di Mosca con un paio
di iniziative che vennero positivamente apprezzate dagli Stati Uniti:
all’inizio dell’anno Bucarest stabilì rapporti diplomatici con la
Repubblica Federale Tedesca e, in seguito alla guerra dei sei giorni,
rifiutò di rompere le relazioni diplomatiche con Israele, come invece
avevano fatto le altre capitali del Patto di Varsavia. Sempre nel 1967,
in marzo, Ceausescu organizzò una calorosa accoglienza per Nixon, che in
quel momento vedeva declinare la propria popolarità negli Stati Uniti.
Nell’agosto del 1968, Ceausescu rifiutò di allinearsi con gli altri
paesi del Patto di Varsavia nella questione cecoslovacca; anzi, condannò
energicamente l’intervento sovietico, annunciò la mobilitazione
immediata del popolo romeno per difendersi da un eventuale intervento di
quel genere, si oppose alle manovre militari del Patto di Varsavia sul
territorio romeno.
La Romania conservò la clausola (accordo
di tariffe commerciali con gli USA NdR) fino al 1988. Quando si
trattava di prorogarla “il gran rabbino di Bucarest Moses Rosen dava l’impressione di essere un ministro degli esteri aggiunto (…) Rosen
descrisse il proprio atteggiamento con il proverbio yiddish ‘Den Ganef
vor die Tir stelln‘: mettere il ladro a guardia della porta” (1).
La crescita del debito estero della
Romania aggiunse un nuovo motivo di irritazione nei rapporti di Bucarest
con Washington. Nel corso del 1982 il debito estero romeno oltrepassava
gli undici miliardi di dollari, sicché il Fondo Monetario
Internazionale (FMI) intervenne ripetutamente presso Ceausescu, per
spiegargli che per far fronte a tale debito e risollevare le sorti
dell’economia romena era indispensabile accettare un credito a interessi crescenti.
Si riproduceva così, nel caso della Romania, quello che John Kleeves ha
descritto come il copione di prammatica nei rapporti tra FMI e
dittatori quali Marcos, Mobutu, Batista, Duvalier, Somoza ecc.:
“… la figura del dittatore filoamericano
pazzo è importante: con i suoi progetti megalomani di ‘sviluppo
economico’ egli giustifica l’accensione del megaprestito da parte del
suo paese, in genere finanziariamente poverissimo. Ma la sua parte non è
finita. Egli sa che il prestito non deve mai essere restituito: il
FMI, nonostante le raccomandazioni sulla carta, non lo vuole; vuole solo
– e su ciò è intransigente – il pagamento in dollari degli interessi
annui. E’ chiaro il perché: solo finché c’è il debito ci sono le
condizioni capestro sull’economia interna. Egli sa anche che il prestito
non deve assolutamente servire per scopi utili, per far decollare
l’economia del paese: sarebbe di nuovo la fine del gioco. Quindi il
dittatore cosa fa? Ciò che veniamo a sapere dai giornali: usa una quota
del prestito per le sue opere inutili (i cui appaltatori sono in genere
ancora le multinazionali); un’altra per soddisfare l’entourage locale di
militari e politici che lo sostengono al potere, e il resto viene
versato sui suoi conti all’estero, in genere negli Stati Uniti” (2).
A un certo punto, Ceausescu non volle più stare al gioco. E ciò determinò la sua fine.
1. Richard Wagner, Il caso romeno, Manifestolibri, Roma 1991, p. 98.
2. John Kleeves, Finanziatori Militar Imperialisti, “Lo Stato”, 30 giugno 1998.
Queste sono le regole, non gli
squilibri del dittatore pazzo, le regole del FMI e quindi degli USA e
valgono per tutti, sei obbligato a prendere prestiti inutili ad interessi esorbitanti, quello che spendi lo devi spendere con aziende americane stabilite e non puoi fare cose utili per la nazione e sopratutto non devi restituire il capitale, il tutto mirato sempre al solito obiettivo, schiavizzare le popolazioni.
Questa è una appendice naturale all'altro articolo LATRUFFA ECLATANTE IN CUI VIVIAMO E LA TECNOLOGIA CI DISTRUGGERANNO e
spiega il delirio dei debiti pubblici irrestituibuili non perchè non li
vogliano ma per l'anatocismo, l'interesse sugli interessi
capitalizzati. (NdR)
2. CHI VOLLE LA CADUTA DI CEAUSESCU?
Il 22 novembre 1989 si apriva a Bucarest
il XIV congresso del Partito Comunista Romeno. Il messaggio di
felicitazioni inviato da Gorbaciov al “partito fratello” assomigliava,
più che a una dichiarazione di solidarietà, a una sprezzante ingiunzione
di cambiamento. Ma il 23 novembre, nel discorso di chiusura che
precedette la sua trionfale rielezione alla segreteria del Partito
Comunista Romeno, Nicolae Ceausescu rispose per le rime, ricordando che
il patto tedesco-sovietico, denunciato qualche settimana prima a Mosca
per quanto riguardava la Polonia e i paesi baltici, sanciva anche
un’ingiustizia commessa ai danni della Romania interbellica, alla quale
erano state strappate e inglobate nell’URSS la Bucovina del Nord e la
Bessarabia (che l’URSS trasformò “Repubblica Socialista Sovietica di
Moldavia”).
Ma, oltre a questo, il Conducator
metteva l’accento sull’indipendenza nazionale romena, ottenuta a prezzo
di pesanti sacrifici che avevano portato finalmente al saldo del debito contratto con la Banca Mondiale.
E’ qui che deve essere cercata la causa della caduta di Ceausescu?
Nel corso di un’intervista
giornalistica, venne rivolta a Marian Munteanu (capo del Movimento per
la Romania e animatore delle lotte studentesche di Piazza
dell’Università) la seguente domanda: “In che misura si deve credere
alla versione che ha presentato la caduta di Ceausescu come l’effetto di
un moto insurrezionale partito dal popolo? E in che misura si può
invece legittimamente parlare di un colpo di Stato? In altre parole: non
sarà che la fine di Ceausescu debba essere ricondotta, principalmente, alla sua volontà di liberare la Romania da ogni dipendenza nei confronti della Banca Mondiale?” Risposta di Marian Munteanu: “E’ per me una gradita sorpresa constatare che Lei ha avuto un’intuizione rara” (1)
.
La rara intuizione dell’intervistatore
di Munteanu si fondava semplicemente sull’osservazione dei fatti. I
personaggi che si erano insediati al potere dopo l’eliminazione di
Ceausescu rappresentavano, in maniera evidente, la convergenza di due
linee. La prima era quella degli interessi statunitensi (Petre Roman, Silviu Brucan, Dumitru Mazilu, l’ex diplomatico Bogdan ecc.), la seconda era quella più propriamente “gorbacioviana” (Ion Iliescu, Nicolae Militaru ecc.). Gorbaciov voleva la fine di Ceausescu perché
questi era contrario ad accettare il programma di liquidazione dei
regimi socialisti, sicché le esigenze del Cremlino in relazione alla
Romania coincidevano con quelle degli ambienti usurocratici e mondialisti,
danneggiati dalla politica autarchica di Bucarest. Veniva quindi
spontaneo pensare che l’eliminazione di Ceausescu fosse stata decisa da Bush e Gorbaciov nell’incontro di Malta, sui contenuti del quale è stato d’altronde osservato il massimo segreto. Fatto sta che la campagna per la demonizzazione di Ceausescu, effettuata dalla stampa e dalle televisioni di tutto l’Occidente, ebbe inizio circa un anno prima della “rivoluzione” romena. Anche
dall’osservatorio italiano era possibile, considerando i fatti con una
certa attenzione, comprendere quali fossero le forze che ispiravano
l’attacco contro “il Dracula di Bucarest”. Non è un caso, ad esempio,
che in Italia l’avvio alla campagna di stampa sia stato dato dal noto sionista Wlodek Goldkorn sulle pagine dell’ “Espresso”.
Marian Munteanu non poté negare che “effettivamente esisteva da tempo una congiura, ispirata da centrali politiche estere per rovesciare il regime”, anche se, ovviamente, ci tenne ad aggiungere che “è
esistita un’azione parallela, spontanea e indipendente, svolta da
giovani che non disponevano di nessun supporto organizzativo”. Insomma: “l’insurrezione
scoppiò in maniera, per così dire, naturale: solo in un secondo tempo
venne utilizzata e strumentalizzata da gruppi già preparati che agivano
secondo intendimenti propri. E questi gruppi avevano legami col
capitalismo internazionale e con gli Stati Uniti: è un fatto che non è
possibile negare” (2)
.
Tali legami, infatti, emergono evidenti
dalle biografie di alcuni protagonisti della “rivoluzione” del dicembre
1989. Vediamone un paio.
Silviu Brucan, (alias Samuil Bruekker o Bruckenthal), era l’ideologo del Fronte di Salvezza Nazionale. Nato nel 1916 da famiglia ebraica,
si iscrisse al partito comunista nel corso degli anni trenta. Nel
settembre 1944, quando apparve il primo numero ufficiale di “Scanteia”,
organo del Comitato Centrale del Partito Comunista Romeno, Silviu Brucan
fu segretario generale di redazione. Dopo la guerra, prese parte
all’allestimento dei processi per la liquidazione degli uomini politici
rivali del PCR. Secondo fonti dell’emigrazione romena, ebbe il compito di architettare artificiosamente una campagna antisemita pretestuosa (3)
.
Dal 1956 al 1958 fu ministro plenipotenziario della legazione della
Repubblica Popolare di Romania negli Stati Uniti d’America (fino al 1964
la Romania non ebbe un ambasciatore a Washington). Quindi, fino al
1962, fu a New York, dove rappresentò la Romania presso le Nazioni
Unite. In seguito a uno scontro con il ministro degli esteri Corneliu
Manescu, dovette andarsene dal ministero e accettare l’incarico di
vicepresidente del Comitato di Stato per la Radio e la Televisione,
incarico che tenne dal 1962 al 1967. Con l’arrivo al potere di
Ceausescu, l’uomo che aveva sostenuto Ana Rabinsohn Pauker e Gheorghe
Gheorghiu-Dej venne allontanato dalle funzioni politiche; benché privo
di diploma universitario, ricevette un posto di docente di Scienze
Sociali e di Sociologia all’Università di Bucarest. Pubblicò diversi libri di taglio politologico, che a partire dal 1971 sono stati sistematicamente editi negli Stati Uniti:
The Dissolution of Power (Alfred Knopf, New York 1971), The Dialectic
of World Politics (Macmillan, New York and London 1978), The
Post-Brezhnev Era (Praeger, New York 1983), World Socialism at the
Crossroads (Praeger, New York 1987), Pluralism and Social
Conflict(Praeger, New York 1990, prefazione di Immanuel Wallerstein),
The Wasted Generation. Memoirs (West View Press, Boulder 1993).
All’inizio del 1988 fu messo agli arresti domiciliari per una
dichiarazione che aveva rilasciata a Radio Europa Libera. Nel 1989 però
era di nuovo in circolazione: era spesso ospite dell’ambasciatore statunitense Roger Kirk e di Michael Parmly, consigliere politico dell’ambasciata degli USA. Al momento degli eventi che portarono alla caduta di Ceausescu, Brucan rientrava dagli Stati Uniti, dopo aver fatto scalo a Mosca e incontrato Anatoli Dobrynin, vecchia spia del KGB.
Petre Roman, anch’egli di famiglia ebraica,
si era tenuto nell’ombra fino ai giorni della “rivoluzione”. Suo padre
Walter Roman (vero nome: Neuländer), “era stato uno dei veterani delle
Brigate Internazionali in Spagna, per poi rifugiarsi, nel periodo della
guerra, in Unione Sovietica. Ritornato in Romania, diventerà l’uomo di
fiducia di Gheorghe Gheorghiu-Dej, predecessore di Ceausescu. E’ uno dei fondatori della Securitate, dove aveva il grado di generale, al quale aggiungeva quello di colonnello del KGB.
(…) Dopo il fallimento della rivolta ungherese del 1956, per ordine di
Gheorghiu Dej incontrò Imre Nagy e lo persuase a rifugiarsi in Romania…
da dove sarà consegnato all’Unione Sovietica. Walter Roman muore nel
1983, lasciando a suo figlio Petre un’eredità sociale e politica.
Quest’ultimo conosce tutti i vertici della nomenclatura, tra i quali
anche i figli di Ceausescu. Ma è soprattutto un intimo di Brucan e di Iliescu” (4)
.
Il verbale (5)
della riunione tenuta la sera del 17 dicembre 1989 dall’ufficio esecutivo del Comitato Centrale del Partito Comunista Romeno, alla vigilia della partenza del Conducator Nicolae Ceausescu per Teheran, è fondamentale per interpretare la “rivoluzione” romena del 1989 come un vero e proprio colpo di Stato. Da
questo verbale risulta che Ceausescu rimproverò il ministro
dell’interno Postelnicu, il ministro della difesa generale Milea, nonché
il comandante in capo della Securitate generale Vlad, perché non
avevano riportato l’ordine a Timisoara, dove si trovavano solo poche
unità, equipaggiate semplicemente con manganelli o con armi da fuoco
sprovviste di munizioni.
Il prof. Claude Karnoouh, specialista di problemi ungheresi e romeni, ha dedotto che “i ‘massacri’ del 17 dicembre non furono niente altro che una montatura architettata dai mezzi di comunicazione:
le agenzie di stampa e le stazioni radiofoniche jugoslave, ungheresi e
sovietiche se ne fecero immediatamente strumenti, moltiplicando i
dispacci sulla violenza degli scontri tra l’esercito e le truppe della
Securitate. Ora, se veramente vi fossero stati a Timisoara i 4.800
morti di cui si parlò, si sarebbero dovuti pure contare, come minimo,
dai 25.000 ai 30.000 feriti! In condizioni del genere, non si
sarebbe più trattato di una rivolta popolare, ma di una vera e propria
guerra tra fazioni contrapposte che usavano armi pesanti e forze aeree –
cosa che evidentemente non è stata. Inoltre, mentre il 22 e il 23
dicembre i dispacci dell’agenzia sovietica Tass segnalavano
combattimenti con armi pesanti a Brasov, il bilancio tracciato poco dopo
da un giornalista di ‘Le Monde’ si limitava a contare 61 morti e 120 feriti. A Cluj si sono avuti 20 morti; nessun morto a Iasi, capoluogo della Moldavia romena, né a Târgu Mures, capoluogo della regione ungherese, né a Ploiesti e a Pitesti, le due grandi città industriali vicine a Bucarest. Nella stessa Bucarest, nessuno ha mai potuto vedere, né in televisione né altrove, i famosi pretoriani del regime. Tutt’al più si indovinava la presenza di qualche franco tiratore isolato, mai identificato, al quale soldati, miliziani e civili rispondevano con un autentico diluvio di fuoco” (6)
.
Quanto ai “mercenari”
(libici, palestinesi, siriani, iraniani e addirittura nordcoreani) di
cui si favoleggiò inizialmente, in capo a qualche giorno non se ne parlò
più. Erano stati inventati per
confermare il concetto che il tiranno era estraneo al popolo romeno (gli
vennero attribuite origini turche o zingare) e quindi poteva essere difeso soltanto da pretoriani stranieri. Inoltre, la leggenda dei “mercenari arabi” serviva perfettamente a collegare tra loro due equazioni: “securista = terrorista” e “terrorista = arabo”. D’altronde
la demonizzazione di Ceausescu, che nel corso di più d’un anno di
propaganda mondiale era stato paragonato a Bokassa, a Idi Amin Dada e al
vampiro Dracula, aveva predisposto gli animi, in Romania e altrove, ad
accettare anche le menzogne più grossolane.
Ma vi sono anche altri elementi, secondo il prof. Karnoouh, che rafforzano l’ipotesi del colpo di Stato.
“Bisogna insistere a questo riguardo sulla cronologia della giornata
del 22 dicembre, che suggella la caduta di Ceausescu. Alle dieci e mezzo
del mattino il capo dello Stato fugge. Un quarto d’ora più tardi Petre
Roman, accompagnato da un gruppo di studenti, penetra nell’edificio del
Comitato Centrale, considerato una delle fortezze della Securitate a Bucarest. Si può constatare, oggi, che l’immobile non reca alcuna traccia di proiettili. Chi era dunque a sparare? E su chi sparava? Nello stesso momento, con un sincronismo perfetto, Ion Iliescu, capo del consiglio del Fronte di Sicurezza Nazionale, arriva alla sede della radiotelevisione; qui il poeta Mihai Dinescu annuncia ai microfoni la caduta del tiranno.
Strano sincronismo, per una guerra civile! In realtà, se davvero ci
fosse stata una guerra civile, avremmo assistito a scene simili a quelle
dell’invasione di Panama City da parte degli Americani, o ai
bombardamenti di Beirut, cosa che invece non è avvenuta. Inoltre, se
davvero una frazione dell’esercito e schiere di civili insorti si
fossero trovati a combattere contro la Securitate, Ceausescu e sua
moglie non sarebbero fuggiti immediatamente su un elicottero
dell’aviazione militare (e non su un aereo della Securitate) per
atterrare poi a 40 chilometri da Bucarest e farsi immediatamente
arrestare. Infine, qualora una tale ipotesi fosse reale, non si
spiegherebbe come mai gli uomini del consiglio del Fronte di Salvezza
Nazionale, che erano costretti alla residenza coatta o comunque
sottoposti a una sorveglianza speciale, non siano stati giustiziati,
o per vendetta o per privare il potere futuro delle sue élites
potenziali, politiche o intellettuali. Al contrario, fin dal momento in
cui fu dato l’annuncio della caduta di Ceausescu, i poliziotti
incaricati di vigilare su di loro sparirono come per incanto” (7).
L’interpretazione del prof. Karnoouh ha trovato una sostanziale conferma,
con l’aggiunta di dati ulteriori, nelle dichiarazioni rilasciate nel
corso di un’intervista giornalistica da Gelu Voican Voiculescu, l’uomo
del Fronte di Salvezza Nazionale che organizzò il processo sommario
contro Nicolae ed Elena Ceausescu e che successivamente diventò vice
primo ministro.
“La Securitate – ha detto Voican
Voiculescu – era una forza molto compatta e capace di reprimere ogni
insurrezione. Il suo ruolo fu provvidenziale, perché essa non sparò, ma
si tirò da una parte e lasciò Ceausescu privo di protezione. Anzi,
il 18 dicembre il generale Vlad, capo del Dipartimento di Sicurezza
dello Stato, con un atto di sua propria iniziativa aveva liberato tutti i detenuti politici
che si trovavano agli arresti presso la Securitate – e si trattava di
un certo numero di persone. Dunque esistono prove evidenti che la
Securitate aveva ricevuto l’ordine di non immischiarsi nei moti di piazza.
Di più: il piano che mirava a contrapporre la Securitate all’Esercito
venne sventato per iniziativa degli stessi generali che dirigevano la
Securitate, i quali intorno al 22 dicembre disposero che la Securitate si subordinasse all’Esercito. Non
fu un atto impensabile, perché era previsto che in una situazione di
guerra la Securitate si integrasse nell’Esercito. Ma negli eventi in
questione, tale decisione fu presa il 22 dicembre; e a Timisoara non fu la Securitate a sparare contro i dimostranti, ma, purtroppo, l’Esercito. Questo è anche il motivo per cui, in una crisi di coscienza e di colpa, il capo dell’Esercito generale Milea si suicidò – se non fu assassinato. E’ un enigma irrisolto della nostra rivoluzione” (8).
Insomma, la “rivoluzione” romena non sarebbe riuscita senza l’apporto decisivo della Securitate.
https://www.youtube.com/watch?v=ANKZdTbEFCQ
La tesi del colpo di Stato
guidato da potenze straniere venne enunciata dallo stesso Ceausescu nel
corso del processo sommario cui venne sottoposto da parte degli uomini
del Fronte di Salvezza Nazionale.
“La mia sorte è stata decisa a
Malta”, ebbe a dire Ceausescu in quella circostanza, alludendo
all’incontro tra Bush e Gorbaciov; e aggiunse che quelli che a Timisoara
avevano sparato sulla folla erano agenti segreti stranieri.
Gelu Voican Voiculescu ha dichiarato nel corso della medesima intervista:
“Noi non possiamo sapere che cosa sia stato deciso a Malta. Però è un dato di fatto che la rivoluzione romena fu innescata dai servizi di diverse potenze straniere. Nella
misura in cui il terreno operativo era di pertinenza dell’URSS, la
presenza effettiva e la manodopera furono fornite dal KGB. Nello stesso
tempo, la CIA aveva installato una sua centrale operativa a Budapest.
Tra i due organismi spionistici vi fu una stretta collaborazione. L’operazione prese il nome di ‘Valacchia 89’ e richiese l’impiego di mezzi cospicui. La Cia partecipò più che altro con piani e fondi, il KGB con
la logistica. Le posso dire, sulla base di informazioni provenienti da
fonti autorevoli, che dopo il 6 dicembre il numero dei turisti sovietici
crebbe bruscamente di dieci volte e a partire dal 16 dicembre vi furono
in Romania 67.000 turisti sovietici. Sono cifre esatte, che provengono
dai punti di frontiera. In genere, entravano in Romania automobili Lada,
ciascuna con quattro uomini a bordo, di età giovane o media. Sono
significative, poi, le registrazioni effettuate nelle camere d’albergo,
anche se non tutti questi strani turisti alloggiavano in albergo. La
maggior parte entrò dalla Jugoslavia e dall’Ungheria. A Timisoara
forse operarono agenti jugoslavi di nazionalità croata, sicuramente vi
furono agenti ungheresi. La TV ungherese praticamente diresse le
operazioni.
“Adesso, disponendo delle informazioni
cui ho avuto accesso, posso formulare un’ipotesi: il 16-17 dicembre a
Timisoara e il 21-22 a Bucarest, questi servizi che preparavano il
rovesciamento di Ceausescu vollero fare una prova generale per
valutare la situazione. Siccome ritenevano che il popolo romeno fosse
inerte e che gli organi repressivi fossero fedeli a Ceausescu, gli
ispiratori dell’operazione volevano sapere quale sarebbe stata
l’adesione della popolazione, come sarebbero entrati in azione la
Milizia, l’Esercito, la Securitate, il Partito, i mezzi di
comunicazione. Pensarono quindi di fare una prova a Timisoara e nella
capitale. Orbene, questo tentativo diede il via a un processo che sfuggì
loro di mano e li colse di sorpresa. Essi avrebbero voluto fare
scoppiare la rivolta il 30 dicembre o anche in gennaio, e invece furono
colti all’improvviso da un incendio generale che oltrepassava le loro
aspettative. Fu questo a paralizzarli, oltre al nostro comportamento
atipico. Noi infatti, nel nostro dilettantismo e confusionismo, demmo a
questi superprofessionisti l’impressione di agire secondo un piano
prestabilito che a loro sfuggiva. In realtà, procedevamo alla cieca.
Allora si bloccò qualcosa nel meccanismo degli agenti stranieri. Essi
fecero qualche provocazione, ma poi tutto acquisì una sua dimensione e
prese una sua via. Così Ceausescu cadde in maniera assai rapida,
praticamente in un giorno solo”.
Secondo l’ex vice primo ministro, “i servizi segreti stranieri avevano lo scopo di smembrare la Romania come entità statale: il caos avrebbe dovuto creare le premesse per l’ingresso di truppe straniere che smembrassero il paese.
Una proposta del genere, d’altronde, era stata fatta da James Baker al
Patto di Varsavia. L’URSS si sarebbe presa il Delta del Danubio e la
Moldavia fino ai Carpazi, la Bulgaria avrebbe preso il Sud della
Dobrugia, la Jugoslavia il Banato, l’Ungheria la Transilvania. E’
normale che non sia stato previsto un successore a Ceausescu, proprio
perché si voleva produrre il massimo disordine. Nel caos, inoltre, era
prevedibile lo scoppio di una guerra civile tra la Securitate e
l’Esercito: si sapeva che sotto Ceausescu tra queste due istituzioni
c’era una certa rivalità.
“Ma c'è dell'altro. L'intensa
mediatizzazione della rivoluzione di dicembre (che monopolizzò gli
schermi televisivi di tutto il mondo) costituì una cortina fumogena
dietro la quale gli americani commisero quell'abuso che fu il rapimento di Noriega,
il quale era in ogni caso un capo di Stato, fosse o non fosse un
narcotrafficante. Gli americani violarono la sovranità e l'indipendenza
del piccolo Stato di Panama con un atto di pura e semplice pirateria. A ciò non si prestò molta attenzione, perché l'attenzione mondiale era polarizzata sulla Romania".
"Evidentemente
-osservo- gli americani applicarono la lezione imparata nel 1956,
quando i sionisti aggredirono l'Egitto approfittando del fatto che
l'attenzione mondiale era concentrata sulla rivolta di Budapest".
"Nel
caso della Romania e di Panama vi fu certamente un progetto e una
premeditazione. Un'operazione come quella di Panama non si improvvisa,
cogliendo al volo l'occasione della rivolta che sta avvenendo in
Romania. Tutto fu programmato e sincronizzato secondo un piano ben preciso.” (9)
.
Da parte sua, l’ultimo ministro degli
Esteri del governo comunista, Ion Totu, nel periodo si trovava detenuto
nel carcere di Jilava dichiarò testualmente:
Gli eventi del dicembre 1989 facevano
parte di un vasto programma di azione degli Stati Uniti e dell’Occidente
(in primo luogo l’Inghilterra) per destabilizzare l’URSS e gli altri
paesi socialisti e per attrarli nella sfera d’influenza del capitalismo;
lo scopo principale era che gli Stati Uniti dovevano restare l’unica
superpotenza mondiale, che decidesse a proprio piacimento. In questo
programma, le prospettive della Romania avevano come obiettivi
principali: a) la trasformazione del nostro paese in un avamposto
militare, in una base militare nell’Est europeo, ai confini con l’URSS;
b) la trasformazione del nostro paese in una semicolonia economica
sottoposta agli stimoli e alle richieste del capitale finanziario
internazionale” (10).
1. Una conversazione con Marian Munteanu, intervista a cura di Claudio Mutti, “Orion”, dicembre 1992.
2. Ibidem.
3. Traian Golea, How the Condamnation of a Nation is staged, Romanian Historical Studies, Hallandale 1996, p. 12.
4. Radu Portocala, România. Autopsia unei lovituri de stat. In tara în
care a triumfat minciuna, Agora Timisoreana, Bucuresti 1991, p. 97.
5. Pubblicato il 10 gennaio 1990 dal quotidiano “Romania libera”
(Bucarest) e parzialmente ripreso il 17 gennaio 1990 da “Le Nouvel
Observateur” (Parigi).
6. A l’Est, du nouveau. L’exemple roumain, Entretien avec Claude Karnoouh, “Krisis”, n. 5, aprile 1990.
7. Ibidem.
8. Claudio Mutti, Quale fine per Ceausescu?, “Storia del XX secolo”, n. 9, gennaio 1996.
9. Ibidem.
10. Intervista di Angela Bacescu, “Europa”, 22 aprile 1991
..
https://www.youtube.com/watch?v=GKySYIsmOg8
Quindi abbiamo letto che fu un
colpo di stato, per interessi geo politici e per aver eliminato il
debito pubblico, è vero che viveva nel lusso, era stato obbligato in un
primo tempo a sprecare i soldi del prestito, è vero che aveva tenuto a
stecchetto la popolazione con alimenti, energia e carburanti razionati MA la Romania era senza debito pubblico
e di questi tempi sappiamo bene cosa vuol dire, ovviamente non è finita
il mio occasionale informatore mi disse riassumendo che Ceausescu voleva aiutare le banche arabe, ma è molto di più ecco perchè l'incontro a Teheran con Gheddafi e Khomeyni..
Gheddafi e Ceausescu, morti parallele.
22 ottobre 2011
In questo momento mi trovo in Romania e ricevo la notizia, attraverso la Rete, dell’uccisione, o per meglio dire, dell’assassinio del Presidente Gheddafi. Nonostante i pur legittimi dubbi che circolano sulla sua morte, simili a quelli che tuttora aleggiano sulla fine di Osama Bin Laden,
dobbiamo dare per scontato che la morte del capo libico sia autentica. E
questo perché troppe sono le solite cosiddette “coincidenze” e troppi, soprattutto, i parallelismi con altre luride situazioni simili.
Dicevo che sto trascorrendo qualche
giorno in Romania non per mettere a parte i lettori dei fatti miei,
bensì perchè la notizia della morte del Colonnello mi ha immediatamente riportato a un’altra morte, avvenuta vent’anni fa qui nel Paese carpatico. Il lettore si sarà subito avveduto che sto parlando di Nicolae Ceausescu.
Il parallelismo, ben lungi da essere una semplice suggestione, ha diverse ragioni d’essere.
Primo. In Romania la morte di Ceausescu
fu preceduta da quella che ancora molti storici (soprattutto
occidentali, ivi compresi i cosiddetti romenisti dei miei stivali),
seguitano con ostinata ignoranza a chiamare “rivoluzione”. Ossia da un vastissimo movimento di piazza “spontaneo”
sopraggiunto per saturazione causata dall’abuso del potere politico da
parte del dittatore. La stessa cosa hanno detto e scritto, e diranno e
scriveranno negli annali ufficiali, per quanto riguarda la Libia. Solo i
più ottusi sostenitori della democrazia american style e del
politicamente corretto fanno finta di non sapere che ciò che accadde in
Romania nel 1989 non fu affatto una rivoluzione, bensì un colpo di Stato. Ci sono molti documenti pubblicati in questi anni nel Paese danubiano che, al di sopra di ogni ragionevole sospetto o dubbio,
dimostrano questo. La “rivolta” di Timisoara e i “massacri” di civili
per opera dell’esercito su ordine diretto di Ceausescu, seguitano a
scrivere e a ripetere storici, giornalisti e la mia portinaia: nessun massacro.
Parlavano e scrivevano in tutto il mondo di 60mila morti ammazzati a Timisoara, quando questa città all’epoca aveva circa… 60mila abitanti. Poi la fuga in elicottero: altri documenti dimostrano che Ceausescu non scappò, bensì fu costretto a salire sul velivolo dal generale Stanculescu, una delle menti di quel colpo di Stato; egli stesso ne ha più volte parlato, ammettendo con chiarezza il suo ruolo in quella vicenda. (Tra
le altre cose, il reverendo Lazlo Tokes, il pastore protestante
ungherese che avrebbe dato l’abbrivio alla rivolta di Timisoara ora è
vicepresidente del Parlamento europeo…). La lista delle “stranezze” è parecchio lunga, ma qui non posso dilungarmi oltremodo, ma altrove le ho scritte.
Secondo. Gli esperti di questioni arabe hanno in questi mesi, tra le altre cose, sottolineato la volontà autonomista di Gheddafi, la sua politica non disposta a piegarsi agli interessi privati del mondialismo e dell’atlantismo;
in più la sua perfetta coscienza di capo politico, la quale gli
suggeriva senza dubbio di mantenere posizioni tanto radicali quanto di
evidente buon senso in relazione alle libertà economiche e politiche
della Libia rispetto ai radioattivi invasori occidentali. La stesso
principio autonomista e anti occidentale – ancorché non isolazionista,
beninteso – può e deve essere applicato alla politica di Ceausescu, il
quale, a principiare dal 1968 nei confronti dell’invasione sovietica in
Cecoslovacchia, ha, da una parte, sempre rivendicato il diritto all’autonomia e alla libertà della
Romania rispetto a Mosca (non a caso per il regime di Ceausescu si deve
parlare di nazionalcomunismo), mentre, dall’altra, ha sempre denunciato
i tentativi di ingerenza non tanto da parte sovietica, quanto
soprattutto da parte occidentale, e questo in particolare negli anni
Ottanta. Per chi conosce il romeno suggerisco di ascoltare ciò il
Conducator disse in più di un’occasione pubblica, ivi compreso un
discorso del luglio 1989 e soprattutto quello del 21 dicembre dello
stesso anno, il suo ultimo. Era evidente la sua consapevolezza circa l’ingerenza da parte di forze straniere, che ieri come oggi sono ben identificabili. E con questo passiamo all’altro parallelismo, forse il più interessante.
Terzo. Come ormai è noto, pochi giorni prima di essere catturato e ammazzato, Ceausescu si era recato a Teheran. Pochi tuttavia conoscono il motivo di questo viaggio, che è il seguente. All’epoca
era in progetto la costituzione di una banca per i Paesi in via di
sviluppo, che prestasse soldi a questi ultimi con tassi di interesse che
andavano dal 3% al 5%, a fronte di tassi di interesse quattro o piu’
volte maggiori applicati dalle banche private. Ogni Stato avrebbe dovuto contribuire all’istituzione di questa banca (che nulla avrebbe avuto a che fare con, ad esempio, il Fondo Monetario Internazione, la Banca Mondiale e i loro accoliti)
con 5 miliardi di dollari. Ebbene, i primi tre sostenitori di un
progetto che avrebbe messo i bastoni tra le ruote alle banche private
mondialiste, erano: l’Iran, la Romania e, guarda caso, la Libia. Proprio così. Gheddafi, gli ayatollah iraniani e il governo nazionalcomunista di Bucarest si erano alleati al fine di rompere il monopolio usurocratico bancario, almeno in relazione ai loro interessi e a quelli di quanti si sarebbero uniti per questo progetto. La Romania, sin dal giorno dopo la caduta di Ceausescu, cadde nelle mani del Fmi.
Ion Iliescu, emblema per eccellenza del
“nuovo corso” politico romeno, gia’ due volte presidente del Paese
carpatico e oggi “grande vecchio” della politica romena – in particolare
del Partidul social-democrat, vasta camera di riciclaggio degli ex
comunisti e degli (ex?) agenti della Securitate, la polizia segreta del
precedente regime – è di fatto uno degli uomini di maggior fiducia del Fmi in Romania.
Quelle che molti non vedono oppure,
peggio, chiamano “coincidenze” sono puri e semplici fatti, puri e
semplici punti di partenza, ovvero di arrivo, che spiegano alla
perfezione non solo ciò che è accaduto vent’anni fa e ciò che è accaduto
poche ore fa in Libia, ma altresì ciò che accadrà presto in un Paese a qualche migliaio di chilometri dalla Siria.
Né Gheddafi né Ceausescu hanno voluto
capitolare davanti ai ricatti, non hanno voluto darsela per inteso, non
hanno voluto cedere la loro legittima sovranità. E per questo l’hanno
pagata cara.
È il destino di uomini come questi.
____________________________________________________________
Bene, rispondeva male alla Russia,
saldava i debiti con l'FMI, volevano aprire una banca per aiutare le
nazioni a tassi agevolati, chissà cosa d'altro, uno se le cerca, due,
abbiamo visto "per caso" comparire anche Gheddafi, non è finita.
La "Paga di Giuda", abbiamo letto nell' ultimo articolo se avete fatto caso : "Tra le altre cose, il reverendo Laszlo Tokes, il pastore protestante ungherese che avrebbe dato l’abbrivio alla rivolta di Timisoara ora è vicepresidente del Parlamento europeo…".
è così che pagano i leccapiedi come Prodi, regalò le nostre aziende IRI
ai suoi amici della trilaterale & co. il premio fù presidente del
parlamento europeo ed ora lavora per l'ONU in africa altra
organizzazione mondialista fondata da Rockefeller, il reverendo è vice
presidente ed avanti così, altrimenti c'è sempre il "nobel". Ed io sono
un cospirazionista, no soltanto VEDO SENTO E RICORDO BENISSIMO. Su wikipedia inglese la conferma e la storia dal loro punto di vista, dato che la controlla Soros ...
Non è finita dicevo, un giorno non ricordavo bene come si scriveva
Ceausescu, vado su google e mi compare in basso "Il tesoro di Ceausescu", vediamo, Bingo, la
spiegazione economica e dell'apoteosi di una rapina. Perchè la Romania
si chiama così? Si chiamava Dacia ed era abitata dai Daci, arrivarono i
Romani fecero fuori tutti e dovettero ripopolarla, lo fecero con i
Romani ed ecco il perchè del nome, perchè arrivarono i romani ? Perchè
c'erano le miniere d'oro e pare, mi dicono che queste non camminano,
quindi sono ancora lì, aveva trovato il modo di rendere indipendente e
ricca la Romania, BANG, MORTO, STOP !!
Il tesoro di Ceausescu
Valentin Vasilescu,
Alla fine del 1982, la Romania raggiunse
il culmine del debito estero di 11 miliardi dollari, dovuti al FMI
d’accordo con il miliardario George Soros, (come il prezzemolo, stò pezzo di merda) il cui coinvolgimento negli eventi del 1989 fu poi dimostrato, e che aveva pianificato una serie di speculazioni disastrose per la Romania.
Dopo queste speculazioni, la Romania entrò in uno stato di blocco
finanziario e insolvenza. Ma Ceausescu colse di sorpresa il FMI,
impegnandosi a pagare tutto il debito esterno successivo al 1985 prima
della data prevista, evitando che la Romania cadesse nella trappola
delle grandi transazioni azionarie del FMI. Soros poi riuscì ad
aggiudicarsi 1,1 miliardi di sterline al London Stock Exchange.
Nonostante ciò, il FMI impose sanzioni contro la Romania per il pagamento anticipato. Poiché il FMI, guidato dagli Stati Uniti, chiese alla Romania il rimborso del debito con interesse triplicato,
gran parte della produzione agricola e industriale del Paese dovette
essere esportata, creando le famose code in per il cibo che abbiamo
vissuto. Il riscaldamento venne razionato e la benzina erogata con le
tessere. Così, dal 1987, gli Stati Uniti innescarono
un’intensa campagna di demonizzazione dei Ceausescu sui media
occidentali. Le stazioni radioFree Europe e Voice of America lanciarono
la prima falsa voce che Gorbaciov avesse creato un sostituto di
Ceausescu. Nel marzo 1989, quando Ceausescu poté ripagare tutti i
debiti, la Romania aveva un credito di 3,7 miliardi dollari depositati
nelle banche e altri crediti per 7-8 miliardi di dollari. A tale importo
si aggiunsero le esportazioni rumene, che nel 1989 erano circa 6
miliardi. I documenti ufficiali sui 24 anni successivi alla rivoluzione
non possono giustificare l’esistenza attuale di un buco di 2 miliardi.
Perché questo denaro è “sparito”? Chi l’ha fatto sparire? Non è
necessario spiegare oltre. Se la Romania avesse avuto, dopo il 1989, nei suoi servizi segreti e nelle sue procure dei patrioti rumeni, lo sapremmo.
Vi sono indicazioni che nella notte del
14/15 dicembre 1989 un aereo Il-18 della flotta presidenziale sarebbe
decollato da Otopeni per un volo speciale a Teheran. L’aereo trasportava
24 tonnellate di lingotti d’oro. Infatti, fu registrato sui documenti
di volo che l’aereo rientrò vuoto dall’Iran, il 4 gennaio 1990. Se le
cose sono realmente andate così, la spiegazione può essere estremamente
semplice.
Ceausescu scoprì nel 1987 che la Romania aveva nel suo cortile tutti i “tesori” che le permettevano di non dipendere mai più dal FMI, non dovendo più sopportare la pressione di questa organizzazione. Un primo passo fu collaborare con Cina, Iran e Libia per una banca che fornisse prestiti a basso interesse ai Paesi in via di sviluppo. La banca in questione fu chiamata BRCE
(Banca Rumena per il Commercio Estero), attraverso cui le imprese per
il commercio estero della Romania avrebbero condotto operazioni usando
denaro speciale, con cui rimborsare il debito estero della Romania. Il
FMI può permettersi di fornire prestiti per decenni, potendo esercitare
una brutale ingerenza nelle economie creditrici, per via di 2996
tonnellate di oro detenute nelle sue riserve. Le mappe dei giacimenti
minerari cominciarono ad essere inserite sui computer in Romania fin dal
1971, presso la sede dell’azienda di esplorazione e perforazione
“Geofisica” e furono costantemente aggiornate, così Ceausescu apprese
che furono estratte dalle montagne della Romania, al 1987, circa 2070
tonnellate di oro e che la Romania aveva 6000 tonnellate d’oro,
tre volte quello estratto tra allora e il 2013, raggiungendo un valore
di 250 miliardi di euro. Ma a parte l’oro, Ceausescu sapeva che negli
stessi giacimenti c’erano argento ed estremamente preziosi metalli rari come arsenico, gallio, germanio, molibdeno, titanio, vanadio, tungsteno,
ecc. E fece affidamento su di essi, perché attualmente vengono stimati a
100 miliardi di euro. Oggi, l’uso generalizzato della tecnologia
utilizzata da statunitensi e sovietici nei loro programmi spaziali
Apollo e Sojuz, iniziarono appena ad apparire sul mercato.
Videoregistratori, videocamere, computer e telefoni cellulari si basano
sui microprocessori realizzati con materie prime come i metalli rari
rinvenuti in abbondanza, come i giacimenti d’oro sui monti Apuseni (le
miniere di Rosia Montana, Almas, Baia de Aries, Klaxon, Brad e
Sacaramb).
Dopo il 1990, vi furono molti produttori europei di
telefoni cellulari come Nokia che dovevano importare questi metalli rari
dall’Africa centrale e dall’Australia, anche se la Romania è più
vicina. Il boom della produzione globale di computer e telefoni
cellulari iniziò dopo il 1990, quando la Romania era già stata sabotata
nel dicembre 1989. Tuttavia, Ceausescu aveva anticipato questo sviluppo
ed istituì in collaborazione con la società statunitense Texas
Instruments, un intero settore dedicato alla piattaforma elettronica
denominata IPRS Baneasa, lasciata in eredità ai rumeni. Con un minimo
investimento avrebbe consentito alla Romania di produrre e avere
computer, cellulari, una propria rete internet e di telefonia. Ma poco
dopo il 1990, i diritti di proprietà intellettuale furono
deliberatamente smantellati e trasformati in investimenti immobiliari.
Il Generale Saadi Predoiu, laureato in Geologia e che lavorò come
geologo alla ICE Geomine (1984-1985) e nella Società dei metalli rari di
Bucharest IMRB (1985-1990), che gestiva “de facto” la SIE, sapeva
queste cose? Il presidente e geologo Emil Constantinescu, che sapeva
delle redditizie miniere in Romania e chiuse metà delle miniere, non lo
sapeva? Non parliamo neanche del suo capo alla cancelleria presidenziale
Dorin Marian, geologo di professione. Allo stesso modo, i primi
ministri Nicolae Vacaroiu e Teodor Stolojan, direttore della
pianificazione economica prima del 1989, non ne sapevano nulla? E Ion
Iliesc, ex-membro del CPEX del Partito comunista, neanche?
Secondo
gli specialisti, Ceausescu progettava un grande piano minerario entro il
2040, in modo che le banche d’investimento dei Paesi in via di sviluppo
avessero un flusso costante di finanziamenti coperti dall’oro. Così,
Ceausescu aveva previsto che tra mezzo secolo l’estrazione di oro e
metalli rari rumeni sarebbe stata più difficile, ma che avrebbe fornito
un fondo annuale di almeno 8 miliardi dollari alla Romania per lanciarla
attraverso la BRCE (che di per sé aveva un capitale di oltre 10
miliardi di dollari), investendo nella costruzione di infrastrutture ed
obiettivi economici all’estero, sulla base di progetti tracciati da
architetti con manodopera comprendente operai ed ingegneri rumeni che
utilizzavano strumenti e macchinari progettati e prodotti in Romania. Ma
dove? Soprattutto in Cina e nei Paesi amici in Asia meridionale, in
Iran e nei Paesi musulmani alleati in Africa e in Medio Oriente ed anche
in Sud America. Questo è esattamente ciò che la Cina fa ora, mentre
Victor Ponta e Traian Basescu sono seduti con la mano tesa a chiedere un possibile investimento da 8 miliardi di euro.
Devo
ammettere che questo piano, concepito dalla mente non troppo istruita
di Ceausescu, un uomo dallo straordinario patriottismo, che il popolo
non riconosce, era grandioso. E forse possiamo parlare del Testamento di
Ceausescu. Sarebbe interessante vedere ciò che è successo al
“tesoro” dopo l’assassinio di Ceausescu. La BRCE, con la rivoluzione
cambiò nome diventando Bancorex ed andò in bancarotta nel 1999, dopo di
che, attraverso di essa, Ion Iliescu concesse prestiti illegali o
inesigibili a decine di migliaia di membri della nomenklatura
post-rivoluzionaria, falsi dissidenti e persino sospetti terroristi fin
dal golpe del 22 dicembre 1989 e sotto lo sguardo del governatore della
banca centrale. Bancorex venne inglobata nella Banca Rumena
Commerciale (BRC) che venne poi privatizzata nel 2006. Il governatore
della banca centrale sotto il Primo Ministro rumeno Tariceanu, costrinse la popolazione a
pagare la somma di 3,75 miliardi di euro all’Erstebank austriaca, per
gli ammanchi della Bancorex. Con la privatizzazione, la BCR incassò
dagli austriaci 2,25 miliardi di euro, ma devono ancora pagarne 1,5. Se
per ipotesi la leadership rumena avesse alla guida un patriota come
Ceausescu e avesse preso la decisione di applicare il Testamento di Ceausescu, sarebbe stato impossibile, perché mancherebbe un pezzo del meccanismo che progettò: la banca rumena.
Dal
settembre 1990 ad oggi, il nome dell’uomo che fu governatore della
Banca Nazionale della Romania è Isarescu. Fino al dicembre del 1989 era
un ricercatore presso l’Istituto di Economia Mondiale, ottenendo un
dottorato in economia grazie alla partecipazione a corsi organizzati
negli Stati Uniti. Nel gennaio-settembre 1990 Isarescu lavorò come
addetto commerciale presso l’ambasciata di Romania a Washington. Nel
2002, la London Stock Exchange, la più grande borsa del mercato dell’oro
del mondo, decise che l’impianto di Baia Mare, Phoenix (riconosciuto a
livello mondiale dal 1970 come un produttore di garanzia) non aveva
rispettato gli standard internazionali. La Romania perse il diritto di usare il timbro internazionale NBR sui lingotti d’oro. La punzonatura stampava il numero di serie, il peso, la concentrazione, il produttore e il logo della Banca nazionale. La Romania fu bandita dalla lista dei produttori ed esportatori dell’oro, e la banca centrale ebbe la scusa per
non accettare depositi di lingotti d’oro rumeni. Solo la fortuna ha
voluto che, in una conferenza stampa del PRM (Partito Romania Mare),
venisse svelato un documento segreto del 25 marzo 2002 che dimostra che, per una strana coincidenza,
su ordine del governatore della NBR di Otopeni, furono ritirati dal
Paese 20 tonnellate di lingotti d’oro per la Germania. Nel periodo
2002-2013, lo stesso Isarescu dispose che due terzi delle riserve auree
di Ceausescu lasciassero la Romania; 61,2 tonnellate depositate in banche all’estero, privando così la Romania della seconda parte del meccanismo creato da Ceausescu.
Completando
l’opera per bloccare l’accesso dei rumeni ai propri oro e metalli rari,
il ministro dell’Industria Radu Berceanu propose il permesso N.47/1999
di sfruttamento delle miniere d’oro e metalli rari, concesso dal GD
458/1999 (le cui disposizioni sono ancora segrete) a una società privata
straniera, la Rosia Montana Gold Corporation, una società-schermo di
Frank Timis Vasile. Da allora, il governo rumeno non ha visto un’oncia
d’oro delle proprie miniere, mentre l’Agenzia nazionale per le risorse
minerarie (NMRA) concesse licenze ad altre otto società straniere per
l’esplorazione e lo sfruttamento di oro e metalli rari rumeni ad
Apuseni, sulla base delle carte geologiche redatte sotto Ceausescu. La
legge mineraria è stata modificata in modo che la Romania ricevesse
dalle aziende straniere che sfruttano le sue risorse sotterranee solo
il 4% del reddito di tutte le estrazioni, mentre il Sud Africa ne
riceve il 20% per l’oro. Così, l’ultimo pezzo del meccanismo per la
sopravvivenza della Romania immaginato da Ceausescu è già stato venduto.
Valentin Vasilescu, pilota ed ex
vicecomandante della base militare dell’aeroporto di Otopeni, laureato
in Scienze Militari presso l’Accademia di Studi Militari di Bucarest nel
1992.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
Tutto è chiaro, uno schema standard, più
mi inoltro nello studiare certe figure, "assassinate", ed il sistema in
generale, più mi rendo conto che eliminano chi fà il bene del suo
popolo, iniziando con una campagna stampa demonizzatrice per preparare
il terreno, poi l'azione, i sotterfugi, Mussolini, Ceausescu, Saddam
Hussein, Gheddafi, i primi che mi vengono in mente, sono anche convinto
che abbiano fatto fuori anche Adriano Olivetti, non era un capo di stato
ma le sue politiche industriali e i suoi successi industriali
contrastanti con i criminali, Mattei ...
Chiudiamo con una cosa quasi ovvia
Romania, dilaga la nostalgia comunista: 2 su 3 rivogliono Ceausescu
Incredibile ma vero. Il 66% dei
cittadini romeni vorrebbe Nicolae Ceausescu di nuovo alla guida del
paese. Dilaga la nostalgia per il socialismo reale
Domenica, 9 agosto 2015
Sembra incredibile ma è proprio così: in
Romania un numero sempre maggiore di persone ha nostalgia del
presidente Nicolae Ceausescu, a 26 anni dalla sua caduta dopo la
sollevazione della piazza, dalla fucilazione in coppia con la moglie
Elena in una caserma di Targoviste, oggi museo per turisti.
Sono
in tanti e sempre più numerosi, in Romania, a rimpiangere il leader
comunista. A confermarlo, una ricerca dell’Institutul Roman pentru
Evaluare si Strategie, un autorevole think tank di Bucarest.
Quasi
un plebiscito per il Conducator, che regnò sulla Romania dal 1965 al
1989. Addirittura un 66% vorrebbe infatti Ceausescu di nuovo in sella,
sulla poltrona di presidente della Repubblica, a guidare il secondo
Paese più povero dell’Unione europea verso un futuro più radioso.
Sorpresa? Fino a un certo punto. A fine 2010, un simile sondaggio aveva
dato risultati conformi, con un 41% di nostalgici.
Fa
impressione osservare la percentuale di chi rimpiange Ceausescu salire
di venti punti in 5 anni, in una nazione dove il 41,7% della popolazione
rimane a rischio povertà o esclusione sociale e dove, misura ancora più
efficace per leggere lo stato di salute di un Paese, un bimbo su
quattro cresce in famiglie che galleggiano sotto la soglia di povertà
relativa.
Lo stesso
sondaggio Ires lo conferma. Sotto il regime, non si votava e non si era
liberi, ma tutti avevano "un lavoro sicuro", ha risposto il 23% del
campione. E più in generale, ha assicurato un ampio 70%, ai tempi "si
viveva meglio" di oggi, in una Romania dove i mal di pancia della gente
cominciano a diventare sempre più dolorosi. Tanto da far rimpiangere
Ceausescu.
Fonte :
http://unmondoimpossibile.blogspot.it/2016/01/la-storia-vera-della-fine-di-ceausescu.html