Costa d’Avorio, le verità scomode della Francia
L'ex ambasciatore Le Lidec rivela particolari inediti del terrore francese
Kampala – A sfregio del pensiero unico imperante nella seconda potenza europea, fonti di dissenso sono ancora possibili in Francia anche riguardo al tabù dei tabù: la gestione delle colonie africane d’oltre mare. Nonostante una formale indipendenza, concessa da Parigi negli anni Sessanta per evitare lunghe guerre di occupazione dopo le rovinose disfatte di Indocina e Algeria, i Paesi francofoni africani rimangono di fatto colonie della Madrepatria. Non possono gestire le loro Banche Centrali e la loro moneta, entrambe controllate dalla Banca Centrale a Parigi. Le risorse minerarie ed agricole sono destinate per la maggior parte all’esportazione verso Francia e Europa. I governi e i cittadini sono obbligati a pagare la “tassa coloniale” ancora in vigore. I comandanti dei loro eserciti rispondono al Ministero della Difesa e all’Eliseo. La loro cultura e storia deve essere quella del Grandeur Francais. Agli imprenditori francesi tutto è dovuto eccetto il pagamento delle tasse. I presidenti devono essere scelti dall’Eliseo e non nelle urne popolari.
Ogni leader africano che ha tentato di attuare una politica nazionalistica ed indipendente è stato sistematicamente abbattuto, senza pietà. Abbattere il Capo di Stato ribelle è sempre stata la principale ossessione della Cellula Africana conosciuta come FranceAfrique. Un obiettivo raggiunto a qualsiasi prezzo e con ogni mezzo, tante le vittime sono sempre negre e il salvatore sempre bianco, ovviamente. Nei casi più complicati, dove esercito e popolazione indigene dimostrano una certa capacità di resistenza si applica la teoria del “Caos Permanente” che consiste nel creare una situazione di caos generalizzato che impedisca lo sviluppo di motti indipendentistici seri e pericolosi. Negli ultimi cinque anni la teoria del Caos Permanente è stata applicata a ben tre Paesi africani, Libia, Mali e Repubblica Centroafricana, con conseguenze drammatiche: guerre civili eterne, sviluppo dei movimenti terroristici, pulizie etniche e tentativi di genocidio, arte in cui la Francia si rivela esperta, basta pensare alla perfetta organizzazione francese del Olocausto nel Rwanda del 1994.
Queste verità sono da decenni denunciate dagli ambienti liberal e dalla sinistra radicale francese ma normalmente accettati dalla maggioranza dei cittadini, consapevoli che la perdita delle colonie africane significherebbe un fallimento economico e sociale ben peggiore e grave di quello greco o italiano. Questa consapevolezza rende vane le denunce della stampa libera francese e impossibile fermare la politica criminale della FranceAfrique e portare in giustizia i responsabili. Una politica così vitale per la sopravvivenza economica della Francia che viene scrupolosamente attuata da tutti i governi di destra e di sinistra. Eppure il muro del silenzio ufficiale e della complicità istituzionale è stata infranto inaspettatamente da una massima autorità del establishment coloniale, Gildas Le Lidec, ex ambasciatore ora in pensione. Nel suo libro autobiografico: “Da Phnom Penh ad Abidjan, frammenti di una vita di un diplomatico” (Edizioni L’Harmattan) Le Lidec rivela particolari inediti del terrore francese a lui ben noti.
Di particolare interesse sono i segreti e le verità sconvolgenti dell’operato francese in Costa d’Avorio, per la semplice ragione che la politica decisa ed attuata dal 1998 al 2011 ha gravi conseguenze nel presente del martoriato Paese prigioniero di una feroce dittatura nata da false promesse democratiche. Le Lidec ci rivela una storia diversa delle due guerre civili che sconvolsero la Costa d’Avorio ribaltando i ruoli dei cattivi e dei buoni. Ambasciatore ad Abidjan dal 2002 al 2005 Le Lidec ci spiega i retroscena della crisi ivoriana che dopo apparente vittoria dei “Good Guys” capitanati dal presidente Alassane Ouattara, sta riemergendo in tutta la sua drammaticità indipendentemente dalla coltre di criminale silenzio della stampa occidentale, italiana compresa.
Nella Costa d’Avorio del 2015 la normalità è fatta di arresti arbitrari, detenzioni senza processo, abuso dei diritti umani, esecuzioni extra giudiziarie: colpo alla nuca o meglio colpo di machete e l’oppositore smette di essere tale. Una serie indescrivibile di abusi e crimini contro l’umanità commessi dal ex funzionario del Fondo Monetario Internazionale (Ouattara) e da un manipolo di generali e faccendieri del nord dalle dubbie origini ivoriane. Crimini nascosti dietro la martellante propaganda occidentale che dipinge il paese in pieno sviluppo economico. Sviluppo reale ma di esclusività dei “soliti noti” gli imprenditori francesi, moderni coloni dell’impero.
Gildas Le Lidec chiarisce che il ruolo del perfido dittatore affibbiato al ex presidente Laurent Gbagbo e il ruolo di democratico leader attribuito ad Ouattara sono una delle più grandi mistificazioni dei media occidentali. «Le condanne a priori contro Gbagbo mi hanno sempre lasciato dubbioso. Alcuni lo definiscono l’uomo del rinnovamento africano che ha tentato di imporre il nazionalismo per il bene del suo popolo sfidando la Francia. Altri come un sanguinario dittatore. Da come l’ho conosciuto Gbagbo era piuttosto un ex oppositore avido di beneficiare dei privilegi dei suoi predecessori: Konan Bèdiè e Houphouet Boigny. Gbagbo non è mai stato un nemico della Francia e un nazionalista convinto. La sua cultura era profondamente francese e tutti i colpi di mano e complotti da lui orchestrati sono ispirati agli intrighi della Quinta Repubblica. Ha utilizzato il nazionalismo per restare al potere senza comprendere che anche una parvenza di nazionalismo era troppo pericolosa per la Francia. Per il potere di Parigi Gbagbo era inquietante. Non corrispondeva ai Capi di Stato africani con cui normalmente avevano a che fare. Anche se, ripeto, il suo nazionalismo era di facciata non poteva essere tollerato in quanto rappresentava un pericolo mortale» afferma nelle sue memorie Le Lidec.
La Costa d’Avorio, antica colonia francese e fiorente nazione africana, entrò in guerra civile il 19 settembre 2002, quando il presidente Laurent Gbagbo si trovava in visita ufficiale in Italia. Vari reparti del nord si ribellarono formando una coalizione di ribelli. La rivolta fu causata dalle discriminazioni sociali ed economiche rivolte alle popolazioni del nord del Paese e dal tentativo di non riconoscerle la cittadinanza ivoriana. Molti nordisti sono sospettati di avere origini o di essere del Burkina Faso. Nel gennaio 2003 governo e ribelli firmarono degli accordi di pace creando un governo di unità nazionale che durò fino alle elezioni del novembre 2010 (originalmente fissate per il 2005 e successivamente rinviate da Gbagbo). Il 2 dicembre 2010 il leader dei ribelli Alassane Ouattara, si proclamò vincitore delle elezioni con il 54,10% dei voti. Il risultato non fu riconosciuto dalla Consiglio Costituzionale che accolse il ricorso del partito al potere FPI Fronte Popolare Ivoriano che apportò inconfutabili prove di frodi elettorali compiute nei territori del nord controllati dalle forze ribelli del FNCI Forze Nuove della Costa d’Avorio. Il Consiglio Costituzionale decretò la vittoria a Gbagbo riconoscendo il 51,10% dei voti rivendicato dal suo partito. I risultati finali non furono riconosciuti dalle Nazioni Unite e dall’Europa grazie all’influenza della Francia.
Al posto di proporre un governo di unità nazionale in grado di evitare una guerra civile come fu nel caso del Kenya dopo le contestate elezioni del 2007, la Comunità Internazionale capeggiata dalla Francia e i Caschi Blu dell’ONU incoraggiarono di fatto i ribelli del FNCI a riprendere la guerra civile regalando al paese un terribile bagno di sangue evidenziando il desiderio della Francia di ottenere la testa di Gbagbo. La guerra civile e le contestate elezioni (in cui realmente Gbagbo aveva vinto) sono state precedute dall’attacco dell’aviazione ivoriana contro i soldati francesi a Bouakè nel 2004. Un attacco, ci spiega Le Lidec, orchestrato dalla stessa Francia per vincere le ultime resistenze del parlamento a Parigi e poter avere le mani libere per modellare la sua colonia secondo la sua volontà e gli interessi della sua classe imprenditoriale messi in pericolo dalla vera o presunta politica nazionalistica di Gbagbo.
''L’attacco resta per me un mistero. Il 4 novembre 2004 le forze militari ivoriane lanciano una offensiva contro i ribelli di Ouattara nonostante che fossero all’interno del governo di unità nazionale, infrangendo gli accordi di pace di Marcoussis. Due giorni dopo i loro caccia attaccano i nostri soldati a Bouakè. Non aveva senso provocare gratuitamente la Francia. Non era nell’interesse di Gbagbo». Molti osservatori africani affermano che l’attacco fu pilotato dalla Francia. Le Lidec non lo chiarisce nelle sue memorie ma ammette che non si spiega come mai il comando francese abbia potuto permettere la fuga dei piloti ivoriani catturati dopo l’attacco che si rifugiarono in Togo. Non si spiega nemmeno come mai Parigi non abbia fatto alcun tentativo di arrestarli in Togo, altra Repubblica delle Banane francese in terra africana.
I tranelli francesi tesi a creare la seconda guerra civile ed abbattere l’imprevedibile Gbabgo risalgono agli accordi di pace. L’attacco alle truppe francesi serviva solo per creare un ambiente favorevole in madre patria. «I negoziati e gli accordi di pace Marcoussis contenevano tutti i germi della crisi del 2011. Furono organizzati nella più totale precipitazione e pochi compresero i veleni inseriti da Villepin…» informa Le Lidec.
Dopo la nomina dei due presidenti, uno legittimo (Gbabgo) e uno voluto dalla Francia (Ouattara) il Paese sprofonda in una crisi costituzionale e vuoto amministrativo fino alla fine di marzo. Durante questi tre mesi varie sono le iniziative di negoziazione intraprese da Nazioni Unite, Europa e Francia. Tutte però volte a costringere Gbagbo ad abdicare nonostante che l’esito elettorale fosse stato a suo favore. Le negoziazioni servirono a prendere tempo, armare le forze ribelli al nord ed organizzare l’offensiva finale. Il 28 marzo i ribelli riuniti sotto una nuova sigla, Forze Republicane della Costa d’Ivorio RFCI (sigla ideata dalla FranceAfrique per donare una sorta di legittimità alla ribellione) lanciano un’offensiva militare di ampio respiro. In pochi giorni e con l’aiuto di mercenari della Burkina Faso, prendono il controllo delle principali città fino ad arrivare presso la capitale, Abidjan il 31 marzo 2011.
«Per contenere l’offensiva ribelle Gbagbo ci aveva chiesto il nostro intervento. Una richiesta ignorata nonostante che sul terreno avessimo oltre 5.000 militari e uno Stato Maggiore composto da due Generali a due stelle e 50 Colonnelli. Il nostro esercito serviva ai ribelli» ci spiega Le Lidec. Nonostante il mancato aiuto francese e la potenza di fuoco dei ribelli le forze rimaste fedeli a Gbagbo resistono nella capitale. Per quattro volte convogli dei Caschi Blu dell’ONU vengono presi a cannonate dall’esercito regolare. I media occidentali dipinsero gli attacchi come barbari attentati ad una forza di pace neutrale. In realtà i convogli ONU venivano attaccati per impedire il regolare rifornimento di armi e munizioni ai ribelli. Rifornimenti camuffati da aiuti militari, proprio come è successo nel 2014 quando in Sud Sudan è stato intercettato un carico d’armi destinate alla ribellione di Rieck Machar, all’interno di un convolgio umanitario. Anche il quartiere generale della forza di pace ONU viene bombardato in quanto centro vitale del sistema di comunicazioni dei ribelli.
Dopo una settimana di violenti scontri le forze ribelli sono fiaccate dalla resistenza governativa mentre Gbagbo disperatamente tenta di organizzare rinforzi arruolando nel sud del paese e chiedendo aiuto a mercenari africani. Gli strateghi francesi comprendono che il tempo gioca a favore del presidente eletto democraticamente e decidono di mantenere il controllo dell’aeroporto facilitato dalla loro base vicina di Port-Bouët, per impedire un rapido arrivo dei rinforzi. Il 5 aprile Ouattara lancia un’ennesima offensiva che viene respinta dalle forze governative che stanno ricevendo rinforzi per via terrestre. Il rischio di una sconfitta dei ribelli si fa reale. È in questo frangente che intervengono I 5.000 soldati francesi attaccando le postazioni tenute dai governativi provati da una settimana di feroci combattimenti.
Elicotteri da combattimento francesi bombardano le postazioni governative permettendo ai ribelli di penetrare le difese. Nonostante la copertura aerea i governativi resistono e i ribelli vengono nuovamente respinti. Parigi decide di inviare le truppe terrestri. I soldati francesi coperti da blindanti e carri armati si ingaggeranno in violenti combattimenti urbani contro quello che resta dell’esercito regolare. Sconosciuto il numero dei caduti da parte Francese. Il 11 aprile i soldati francesi riescono a sconfiggere la resistenza e a catturare il presidente Gbagbo. I media occidentali pubblicheranno la favoletta dei ribelli vittoriosi nascondendo l’intervento coloniale francese che, secondo il diritto internazionale, corrisponde ad una invasione di un paese sovrano senza nemmeno aver dichiarato lo stato di guerra, dichiarazione che dovrebbe passare al voto del parlamento francese.
Il presidente assieme a sua moglie viene mantenuto per vari mesi prigioniero in una località segreta fino a quanto verrà consegnato al Tribunale dell’Aia che su ordine della Francia (suo maggior finanziatore europeo assieme alla Germania) aveva aperto un procedimento giudiziario per crimini di guerra. Durante la prigionia Gbabgo viene ripetutamente torturato e sottomesso a trattamenti degradanti. Dal Novembre 2011, estradizione di Gbagbo all’Aia, rimarrà in carcere nel Paese europeo senza processo per tre anni. Un processo che inizierà il prossimo 10 novembre. Questo ritardo giudiziario è dovuto dalla difficoltà riscontrata dalla Corte Penale Internazionale di processare Gbabgo senza coinvolgere l’altro criminale di guerra: l’attuale presidente Ouattara.
Nel suo ultimo rapporto la Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH) condanna senza mezzi termini la dittatura instaurata da Ouattara e accusa al Corte Penale Internazionale di “giustizia parziale”. Il 92% dei responsabili della guerra civile del 2011 imprigionati appartengono al campo di Gbabgo. Incriminato anche Pascal Affi N’Guessan attuale presidente del Fronte Popolare Ivoriano. Il procedimento giudiziario intentato contro di lui mira ad eliminare un pericolo rivale alle imminenti elezioni presidenziali. Un candidato non gradito alla Francia. FDIH afferma che solo due imputati pro Ouattara sono finiti sotto processo. Trattasi del capo delle milizie ribelli Amadé Ouérémi e Ahmed Sanogo un comandante di alto rango del famoso “Commando Invisibile” autore di atrocità inaudite contro la popolazione del sud ed addestrato dai Commandos francesi. Altri dieci comandanti delle Forze Repubblicane della Costa d’Avorio rei di crimini contro l’umanità non si sono nemmeno presentati davanti al giudice e mantengono alte cariche nelle attuali forze armate.
Il popolo ivoriano esce traumatizzato dalle due guerre civili pilotate dalla Francia dopo aver subito la feroce dittatura di Félix Houphouët-Boigny, amico dell’Eliseo e successivamente caduto in disgrazia quando Parigi decise di sostenere Laurent Gbagbo. La Costa d’Avorio sta conoscendo un sostenuto boom economico esclusivamente a favore degli imprenditori francesi che ora minacciano di reclamare indennizzi per le proprietà distrutte durante la guerra civile provocata dal loro governo. La popolazione vive nella più assoluta miseria e la principale possibilità occupazionale per le giovani donne rimane prostituirsi alle truppe di occupazione francese. Reporters sans frontières ha recentemente classificato la Costa d’Avorio uno tra i peggiori paesi africani per la libertà di stampa ed espressione.
Il governo tenta di rassicurare gli investitori e la Comunità Internazionale che ha sotto controllo la gestione del paese e che assicurerà libere e trasparenti elezioni. La realtà contraddice la propaganda governativa. Dal 2014 le manifestazioni popolari sono in costante aumento così come la repressione violenta delle forze dell’ordine composte dai ex ribelli, comandati dagli ex criminali di guerra del circo di Ouattara. Da tre anni i tentativi di alcuni reparti militari rimasti fedeli a Gbagbo di organizzare una ribellione sono resi vani in quanto non sostenuti da potenze continentali o straniere. Le elezioni presidenziali si terranno il prossimo 31 ottobre. L’opposizione ivoriana, raggruppata nella Coalizione per il Cambiamento (CNC), sabato 27 giugno 2015 ha contestato l’eligibilità del presidente Ouattara come candidato. Serie le possibilità che l’opposizione ivoriana decida di boicottare le elezioni.
E che dire dell’entourage del presidente Ouattara? La maggior parte sono politici corrotti e generali criminali di guerra. A titolo di esempio ecco come l’ex ambasciatore Le Lidec descrive Guillaume Soro il numero due del potere ivoriano, presidente del parlamento e beniamino del presidente francese Francois Hollande: «Trattasi di un arrivista, molto intelligente e con una grande capacità di convincere. Era al fianco di Gbagbo per poi tradirlo e montare sul carro dei vincitori. Non c’è affare nel paese che non veda la sua partecipazione». Due risposte date da Le Lidec al giornale francese Marianne durante una recente intervista riassumano egregiamente il concetto di giustizia internazionale della CPI e l’attuale situazione del paese africano.
«Trovo profondamente ingiusto la giustizia attuata dalla Corte Penale Internazionale verso la Costa d’Avorio. È profondamente ingiusto che Ouattara non sia indagato per essere stato a capo di criminali che dal 2011 hanno creato nel Nord uno Stato nello Stato fondato sulla violenza e il terrore. Rifiutandosi di aprire un procedimento giudiziario contro Ouattara la CPI non migliora di certo la sua immagine, già irrimediabilmente compromessa in tutto il continente. La Costa d’Avorio è migliore dopo Gbagbo? Sul piano della sicurezza e della stabilità non ne sono sicuro. Il contingente militare francese Liocorne rimane padrone del paese come la Quarantatreesima Divisione Bima. Alla fine della mia missione avevo raccomandato la loro partenza in quanto deleteri per la stabilità del Paese. Eppure sono ancora là».
Fonte :
http://www.lindro.it/costa-davorio-le-verita-scomode-della-francia/