L'alleanza Italia-Israele
Gia' nel gennaio del 1954 l'addetto navale israeliano a Roma
comunicava l'intenzione di acquistare siluri presso il Silurificio di
Livorno, ''per un ammontare di un milione di dollari'', e di essere
interessato all'acquisto di cannoni prodotti dalle Officine
meccaniche di Pozzuoli.
Israele cercava in tutti i modi di 'farsi accettare'. L'Italia era
piu' che disposta ad aiutare, ma non
voleva rompere con gli arabi. Quando da Tel Aviv arrivo' la
richiesta di ammettere cadetti israeliani alla scuola della Marina
militare italiana, un funzionario del nostro Ministero degli Esteri
illustro' le possibili conseguenze negative :
'Non vedo come la richiesta possa conciliarsi, almeno allo stato
attuale delle cose, con le esigenze della nostra politica. Si tratta
di un gesto che, risaputo nel mondo arabo, potrebbe compromettere le
nostre relazioni con quei paesi. Tu sai quanto gli arabi temano
l'espansione militare di Israele: nulla riuscirebbe a giustificare ai
loro occhi una nostra collaborazione attiva alla preparazione dei
quadri militari di quello che essi purtroppo considerano il loro piu'
grande nemico'
La cautela con la quale i diplomatici italiani agivano nei loro
rapporti con Israele, allo scopo di non urtare ''la estrema
suscettibilita' degli Stati arabi'', emerge da un appunto del
Ministero degli Esteri.
'Converra' mantenersi molto prudenti con il ministro Sasson, uomo
abile e che-come molti rappresentanti del suo paese- tende a
valorizzare a fini di prestigio qualunque espressione di cortesia
alla quale possa essere data in qualche modo un'interpretazione
politica''
Un altro documento interno rivela che con Israele :
'le nostre relazioni si stanno evolvendo (...), paese isolato e
conscio del suo bisogno di appoggi, esso ci manifesta ad ogni
occasione un vivo desiderio di amicizia, avanza proposte concrete di
cooperazione in tutti i campi (...) senza scoraggiarsi affatto
davanti agli insuccessi dovuti ai freni che opponiamo ad una parte
dei suoi entusiasmi. Ne consegue che nei nostri organismi tecnici si
e' andato consolidando un orientamento favorevole a Israele e molto
scettico nei confronti dei paesi arabi.'
In questo clima fu deciso di accogliere i cadetti ''a condizione
tuttavia che da parte israeliana ci si impegni formalmente a non dare
alla cosa pubblicita' alcuna''. Il capo della missione diplomatica
israeliana a Roma, Sasson, dopo un incontro con Giuliano del Balzo,
scrive al direttore del Dipartimento Europa occidentale del Ministero
degli Esteri israeliano, Emil Dikan : 'L'Italia sa che l'amicizia con
Israele e' scontata, ma con gli arabi e' costretta continuamente a
compiere gesti concreti''.E in una nota successiva rileva che
''l'Italia merita prima di tutto la nostra comprensione e non
dobbiamo adottare nei suoi confronti gli stessi parametri di giudizio
che utilizzano con Francia,Inghilterra e Stati Uniti'', perche'
questi tre Stati esercitano ''una influenza internazionale
permanente''. Il ministro Sasson offriva anche assistenza diplomatica
alla nostra povera Italia, cosi' tanto priva d'influenza e di status
internazionale, come si puo' leggere nella nota di un diplomatico
italiano dopo averlo accolto nella sede del Ministero a Roma :
'Il signor Sasson dopo aver insistito sui buoni rapporti
italo-israeliani, ha chiesto, nei termini di cui all'accluso appunto,
se da parte italiana si sarebbe gradito che in occasione della
prossima visita negli Stati Uniti del Presidente Scelba, gli ebrei
americani 'mobilitassero' a nostro favore le loro numerose influenze
perche' le accoglienze al Capo del Governo italiano fossero
particolarmente calorose.'
Valutazioni e analisi taglienti di Sasson vanno avanti con gli
stessi toni. Nel 1956, scrive al proprio ministro degli Esteri:
'L'unico elemento di continuita' nella politica estera italiana
dal momento dell'entrata nelle Nazioni Unite e' costituito dal
territorio di penetrare la nostra regione. Tutti i partiti hanno il
medesimo obiettivo, ma ognuno lo concepisce in modo diverso. Da qui
l'apparente instabilita' della loro strategia. '
Fonte : Mossad base Italia pag. 149-159
Rapimento a Roma
Poche parole tracciate malamente con un pennarello nero sul palmo della
mano, aperta a sorpresa mentre il furgone bianco e azzurro usciva dal
tribunale sulla via Salah Al Din, a Gerusalemme Est. Un messaggio, il
piu' chiaro possibile in quelle condizioni, mostrato a noi giornalisti,
fotografi e cineoperatori fermi nella speranza di vedere l'uomo che
aveva osato raccontare a un giornale inglese la verita' sul programma nucleare israeliano.
In manette, da dietro il vetro sporco del cellulare della polizia
israeliana, Vanunu denunciava il proprio rapimento avvenuto a Roma, dove
era arrivato con un volo delle linee aeree britanniche.
Negli
arsenali sparsi in varie localita' d'Israele ci sono almeno duecento
ordigni, di misura e potenza varia, pronti a bloccare o punire chi tenta
di distruggere lo stato d'Israele. ''Mai piu' un'altra Shoah'' e' il
grido di battaglia dei politici e dei militari israeliani che, per anni,
avevano giurato al mondo che non avrebbero mai introdotto per primi
un'arma nucleare nello scacchiere mediorientale. Prima dell'exploit di
Vanunu c'erano state tante polemiche e rivelazioni sul nucleare
israeliano. Da dove era arrivata la tecnologia? Chi aveva fornito
l'uranio? Dove venivano preparati gli ordigni? Un mistero ormai in buona
parte svelato, anche se formalmente ancora coperto dalla massima
segretezza.
Israele non ha mai sottoscritto il Trattato di non proliferazione, ma
la rivista Jane's, specializzata in questioni militari, ha offerto al
suo pubblico cio' che le ispezioni delle Nazioni Unite non hanno mai
potuto fornire. Descrizione dei luoghi di stoccaggio delle armi nucleari
e della loro tipologia, segnalazioni delle zone dove, durante vari
conflitti, erano dislocate le testate montate sui missili Gerico pronti
al lancio e puntati in direzione del nemico. Inoltre, indicazioni sulle
aree pattugliate dai sommergibili di fabbricazione tedesca,
probabilmente in grado di sferrare dal mare una risposta a un eventuale
attacco a Israele, se necessario anche con armi di distruzione di massa.
Chi, arrivando a Tel Aviv o a Gerusalemme Ovest, chiede l'accredito
come giornalista, dive sottoscrivere un accordo per rispettare la
censura su una miriade stupefacente di argomenti. Da qualche anno le due
o tre pagine fitte di temi vietati, per i quali era necessaria una
dispensa della censura, sono state ridotte, anche perche' di rado le
regole rimaste in piedi dai tempi del Mandato britannico venivano
applicate in modo stringente. Come considerare segreto di stato uno
sciopero? O un incidente ferroviario? Come non parlare di attentati e
azioni di guerra quando la radio, sempre accesa anche sui mezzi
pubblici, informava in tempo reale di cio' che succedeva nel paese?
Qualche argomento, pero', resta ancora tabu' : l'arsenale nucleare e le
postazioni delle rampe di lancio, la centrale nucleare di Dimona nel
deserto del Negev e cio' che succede nei laboratori ultrasegreti della
guerra chimica e biologica di Nes Tsiona, a sud di Tel Aviv.
Corrispondenti e inviati stranieri evitano di trattare questi temi ma
piu' di una volta giornalisti israeliani hanno fornito a quotidiani e
settimanali stranieri informazioni ''riservate'' perche' fossero
pubblicate.
Una volta di dominio pubblico all'estero, infatti, le
storie possono essere trattate con tutte le cautele del caso anche dalla
stampa locale.
Mordechai Vanunu lavorava alla centrale di
Dimona. Cresciuto in una famiglia estremamente religiosa, cio' che vide
nei laboratori sotterranei, protetti da metri e metri di cemento armato,
provoco' in lui una crisi spirituale e morale. In impianti come quello
nel Negev la sicurezza e' ai massimi livelli. Un caccia israeliano che
si era avvicinato troppo venne abbattuto quando il pilota, per un guasto
agli apparati di bordo, non si rese conto di essere pericolosamente
fuori rotta e non rispose all'ordine imperativo di allontanarsi.
Impiegati e scienziati sono selezionati con cura. Il loro passato e'
sviscerato a fondo, le famiglie esaminate al microscopio. Eppure, il
servizio preposto al controllo dell'impianto nucleare in collaborazione
con lo Shin bet non si accorse della fragilita' psicologica di Vanunu e
nemmeno della piccola macchina fotografica con la quale scatto' decine
di immagini. La vicenda e' relativamente lunga, ma a noi interessa
soprattutto il finale romano.
Vanunu, con un pacco di
fotografie nella borsa, lascio' Israele e il suo lavoro senza sollevare
sospetti. Se ne ando' in Australia, dove cerco' di far pubblicare la sua
storia. Un giornale del gruppo
appartenente a Robert Maxwell,
magnate della stampa molto vicino al Mossad e forse ucciso dal Mossad,
non era interessato a far uscire il pezzo, ma il giornalista chiamo' i
servizi segreti australiani, che inviarono una segnalazione a Tel Aviv.
Dalla base, sulle rive del Mediterraneo, partirono ordini chiari:
rintracciate Vanunu e datevi da fare per capire se quelle foto possono
costituire un pericolo. Scoprire che l'uomo aveva lavorato a Dimona fu
questione di pochi minuti. Ogni israeliano senza carta d'identita' e il
suo prezioso numero che lo segue ovunque, dalla banca al supermercato,
dall'ufficio passaporti al circolo, e' nudo. La sequenza di cifre apre
le porte, ma e' anche il modo con cui il Grande Fratello monitora ogni
frammento della vita del cittadino. Shimon Peres, all'epoca primo
ministro, venne immediatamente informato del problema. Il Mossad dipende
direttamente dal premier e Peres, oltretutto, e' considerato il padre
del nucleare israeliano. Non ha mai indossato la divisa o combattuto
con un'arma in pugno, ma ha dato al suo paese la sua arma piu' potente.
Mentre gli agenti israeliani gli davano la caccia, Vanunu si era
trasferito dall'Australia a Londra, alla ricerca di un giornale disposto
a pubblicare la sua storia. Non poteva sapere che anche Maxwell era un
agente di Israele e nemmeno che il capo servizio esteri di uno dei suoi
piu' importanti quotidiani lavorasse, come molti altri giornalisti, per
il Mossad. Da Tel Aviv partirono altri agenti, inconsapevoli del fatto
che Vanunu avesse contattato anche il Sunday Times e che il suo
racconto, in mano a uno dei piu' noti e stimati reporter del
settimanale, stesser per essere pubblicato. Per anni Israele ha negato
di aver rapito Vanunu. Soltanto nel marzo del 1995, quasi dieci anni
dopo il fatto, la censura militare ha perso la battaglia scatenata dalla
stampa israeliana per poter raccontare cio' che ormai sapevano tutti.
Era stato Peres in persona a dare l'ordine di catturare il traditore e
riportarlo in patria. Vanunu doveva essere interrogato; era necessario
capire cosa sapeva e impedirgli di far pubblicare le immagini del cuore
strategico di Dimona, con le prove che Israele aveva gia' montato quasi
duecento ordigni nucleari. Il premier, indirettamente, scelse Roma per
portare a termine l'operazione. Yossi Melman, esperto di spionaggio del
quotidiano Haaretz, scrisse in proposito :
'Peres fece sapere che
non intendeva creare uno scandalo con il governo della signora Thatcher.
Occoreva trovare un luogo sicuro per l'operazione. Con Francia e
Germania c'era il pericolo di una crisi. Allora fu scelta l'Italia. E'
risaputo che i rapporti tra i servizi segreti israeliani e italiani sono
sempre stati ottimi. Oltretutto Roma e' una citta' dove risulta molto
facile operare indisturbati.''
E dove, ormai e' chiaro, la
collaborazione tra i servizi segreti e la complicita' del governo
italianoe' tale da mettere a tacere ogni forma di legalita'.
Ma
come far arrivare Vanunu a Roma? Niente di piu' facile per l'agente del
Mossad Cheryl Hanin Bentov. Nelle prime versioni, filtrate attraverso
le maglie dei servizi segreti, l'incontro a Leicester Square fu casuale.
La verita' e' un'altra. Le spie a mezzo servizio con il giornalismo
britannico sapevano piu' o meno dove alloggiava. E gli agenti, arrivati
di corsa da Tel Aviv, non ci misero molto a rintracciarlo. L'esca
sarebbe stata Cheryl, nome scelto per l'occasione : Cindy. Come
resisterle? Era carina, quasi bella, una bruna diventata bionda per
essere piu' seducente, un corpo pieno, giovane ma non troppo da
insospettire. E poi, quel sorriso cosi' ammaliante. Mordechai la vede
per la prima volta riflessa nella vetrina di una bottega tra Soho e
Piccadilly. I loro sguardi si incrociano. Gli occhi di Cindy, invece di
sfuggire, restano fiss in quelli di lui. Un invito a cui il timido
Mordechai non puo' resistere. ''Turista anche tu?''. Una domanda
innocente, sufficiente per avviare una conversazione. Lei, gli dice, fa
la parrucchiera, e' un'ebrea americana. ''Un caffe' insieme?'' Fu il
primo di molti. L'uomo scappato dalle viscere della centrale nucleare
nel deserto aveva abboccato in pieno. Aveva bisogno di compagnia, di
coccole, e la giovane donna sapeva cosa dire, di cosa parlare. ''Sto
andando a Roma a trovare mia sorella. Ha un appartamento. Vieni anche
tu, possiamo stare da lei''. Mordechai aveva appena finito di raccontare
la sua storia ai giornalisti del Sunday Times. La mattina del 30
settembre, pero', e' il Sunday Mirror, tabloid di Maxwell imbeccato dal
Mossad e dalle autorita' di Tel Aviv, a pubblicare una foto di Vanunu
corredata da una storia di finte rivelazioni sul nucleare israeliano,
nel tentativo di screditare l'articolo in uscita sul giornale
concorrente e la testimonianza di Vanunu.
''Ho paura'' disse
Mordechai a uno dei giornalisti del Times ''vado via per un lungo
weekend con Cindy''. L'incontro con la giovane donna americana non era
un segreto, ma la storia non convinceva i giornalisti. Gli dissero di
non partire. ''Potrebbe essere una trappola, qui in Gran Bretagna non ti
succedera' nulla''. Avevano ragione.
I servizi segreti
britannici erano stati informati di tutto dai loro colleghi di Tel Aviv e
non avevano problemi a collaborare. Unica richiesta : ''Non ci mettere
in difficolta' con un colpo di mano qui da noi''. In un primo momento il
Mossad aveva pensato di eliminare Vanunu, ma l'idea fu scartata. Non
avrebbero impedito al giornale di pubblicare le rivelazioni su Dimona e
un assassinio avrebbe messo in difficolta' sia Israele sia il governo di
Londra. Ed ecco l'idea di portare il traditore fuori dalla Gran
Bretagna. Fu un viaggio tranquillo. Vanunu era felice, Cindy sapeva
giocare bene il ruolo di donna mezza innamorata. Una macchina li
attendeva a Fiumicino e la cosa, ammise Vanunu molti anni dopo, l'aveva
insospettito. Non ebbe il tempo di riflettere piu' di tanto. Arrivarono
rapidamente all'appartamento ''della sorella di Cindy'' e, invece di
trovare una donna, ad accogliere Vanunu c'erano tre agenti del Mossad.
Si accorse appena della siringa nel braccio. Il potente sonnifero fece
subito effetto, dando modo ai rapitori di legare il prigioniero,
bendarlo, imbavagliarlo e trascinarlo fuori dall'appartamento in una
'comoda' cassa. Una versione aggiornata di quel baule nel quale, anni
prima, l'israeliano Mordechai Louk stava per essere spedito da
Fiumicino in Egitto. Dove gli egiziani fallirono, gli israeliani, grazie
anche ai loro rapporti privilegiati con i colleghi italiani, ebbero
successo.
La cassa fu adagiata in uno di tre furgoni presi in
affitto dal Mossad e trasportava alla Spezia, lo stesso porto da dove
migliaia di profughi ebrei erano salpati per la Palestina. Secondo
quanto accertato da un giornalista del Sunday Times. Vanunu venne
imbarcato su un cargo israeliano, il Tapuz- significa ''arancia'' in
ebraico – battente bandiera panamense. Questo il racconto di alcuni
membri dell'equipaggio :
''Ci fecero attendere al largo del porto
per tre giorni. Finche', una sera, ricevemmo l'ordine di chiuderci tutti
nella sala da pranzo al ponte inferiore. Poi sentimmo il rumore di un
motoscafo, salirono a bordo due uomini e una donna con un prigioniero
che sembrava narcotizzato. Ma non ci fu mai un vero contatto tra noi e
loro, se non quando conducevano il prigioniero al gabinetto. La ragazza
pero' era molto dura. Pretendeva dal cuoco i pranzi piu' elaborati a
tutte le ore e si faceva almeno tre docce al giorno, pur sapendo che
avevamo poca acqua dolce a bordo.''
La Spezia, Marsiglia, poi
Israele. Il 9 novembre, a Tel Aviv, l'annuncio: Vanunu il Traditore e'
in un carcere segreto. Quattro giorni prima, constatata la sua
scomparsa, il Sunday Times aveva pubblicato quanto avevano saputo dal
tecnico israeliano e controllato grazie a vari esperti di strutture
nucleari. Tre pagine piene di fotografie scattate a Dimona e del
racconto del Traditore. ''Guarda, questo e' l'immenso danno che hai
fatto al tuo paese'' gli dissero gli agenti che lo accolsero ad Ashdod
mostrandogli il settimanale britannico. Vanunu fu confinato per anni in
isolamento, prima e dopo il processo a porte chiuse e la condanna a 18
anni, tutti scontati. Per la stampa israeliana la vicenda aveva due
aspetti da approfondire: l'identita' delal donna-esca e la questione
nucleare. Cindy-Cheryl fu rintracciata in Israele, che lascio' per
trasferirsi con la famiglia a Orlando, in Florida. La versione
accreditata da Tel Aviv parla di una specie di prepensionamento, visto
che era stata individuata e non sarebbe piu' stata utile al Mossad.
Altri sostengono che sia in missione con il marito, un 'ex'
dell'intelligence militare. I due, ufficialmente, gestiscono un'agenzia
immobiliare in un quartiere molto ricco della citta'. Amici e conoscenti
dicono di non sapere che fu lei a trascinare Vanunu a Roma. E qui
arriviamo a cio' che ci interessa. Il rapimento e' stato al centro di
un'indagine giudiziaria finita nel nulla, come tante altre impostate dai
magisrati inquirenti italiani sull'attivita' dei servizi segreti
israeliani.
Quella frase scritta sul palmo della mano di Vanunu
e ripresa dalla stampa di mezzo mondo indusse il giudice romano
Domenico Sica ad aprire un fascicolo sul 'presunto rapimento'.
Nell'estate del 1998, dopo essere stato criticato dall'avvocato
israeliano del tecnico di Dimona e dalla stampa israeliana, il giudice
fu costretto a spiegare perche' aveva deciso di archiviare il caso. Sica
aveva impiegato due anni per arrivare alla conclusione che Vanunu non
era un traditore, bensi un agente del Mossad che aveva orchestrato
l'intera vicenda per depistare gli ambienti interessati a conoscere la
reale situazione della ricerca nucleare nel laboratorio di Dimona. Ma
come e' arrivato a tale certezza?
L'avvocato di Vanunu non ha
dubbi sulla collusione tra le autorita' italiane e israeliane e sul
fatto che il magistrato deve aver agito per affossare il caso. E' dello
stesso parere Meir, fratello di Vanunu, intervistato dal quotidiano 'Il
manifesto'. Era in atto il solito scontro tra i componenti
filoisraeliani e filoarabi all'interno dei servizi segreti italiani e
del governo, e probabilmente il magistrato ha ritenuto piu' facile far
finire nel dimenticatoio l'intera questione.
''Dissi a Sica che
la cosa da fare era richiedere un incontro con mio fratello, perche'
Mordechai era l'unico in grado di fare chiarezza sulla vicenda del
rapimento. Sica avrebbe dovuto recarsi in Israele, ma non lo fece.
Nell'agosto 1987 andai di nuovo in Italia con Peter (Hounam, il reporter
che pubblico' per primo le rivelazioni di Vanunu, Ndr) e diedi a Sica
informazioni sul rapimento, di cui ero venuto a conoscenza a seguito di
un incontro con mio fratello in carcere. Quelle stesse rivelazioni
furono rese pubbliche poco dopo a Londra. La conseguenza fu che le
autorita' israeliane sentenziarono, in base all'accusa di spionaggio,
che il mio ritorno in Israele entro i successivi 15 anni avrebbe
comportato il mio arresto. Tornai in Israele nove anni dopo, nel
settembre 1996, a condizione di rispondere alle domande dei servizi
segreti israeliani. Mi ritirarono il passaporto, ma alla fine non fu
intrapresa alcuna azione nei miei confronti.''
Sul perche' il rapimento sia avvenuto a Roma, Meir ha le idee abbastanza chiare
'Forse la Gran Bretagna rispetta a propria sovranita' piu' dell'Italia.
O almeno lo ha fatto in quella circostanza. Forse la scelta di Roma e'
stata determinata dal fatto che l'Italia era un terreno piu' facile. E
il modo in cui sono andate le cose lo dimostra. Inoltre esiste una
condizione piu' ampia, legata alla collaborazione tra servizi di diversi
paesi. Il fatto che l'Italia fosse piu' docile dipende anche dal ruolo
della CIA nel paese, e poi non dimentichiamo che l'allora governo Peres
era vicino al governo italiano. Comunque, e' ora di riaprire il caso. Un
turista e' stato rapito in terra italiana, drogato e trasportato
sull'altra sponda del Mediterraneo da agenti segreti di un altro paese,
in barba al diritto internazionale e alle leggi italiane. Violando la
sovranita' dello stato italiano. Per l'Italia va bene cosi? ''
Ci furono, come per altri casi sospetti, molte interrogazioni
parlamentari. C'era chi voleva capire se per l'Italia tutto andasse
''bene cosi''. Nella seduta della Camera del 17 febbraio 1988, Mario
Capanna si rivolse al ministro degli Esteri per sapere :
''se in
seguito a queste nuove conferme del fatto che Mordechai Vanunu e' stato
rapito e trasportato illegalmente fuori dal nostro paese a opera dei
servizi israeliani, in dispregio alle leggi e alla sovranita' nazionale,
non intenda chiarire gli aspetti oscuri di questa vicenda inquietante,
non essendo certamente credibile la versione ufficiale delle autorita'
israeliane che vorrebbe Vanunu rientrato volontariamente nel proprio
paese, dove rischia la pena capitale in un clima di intimidazione anche
nei confronti della sua famiglia; se non intenda muovere passi verso le
competenti autorita' israeliane allo scopo di conoscere i motivi per i
quali abbiano deciso ed attuato un atto contrario alla legislazione
internazionale e di salvaguardare la vita di Mordechai Vanunu.''
Gli rispose l'allora sottosegretario Raffaelli, sollecitando tutti ad attendere il risultato dell'inchiesta giudiziaria.
Vale la pena leggere qualche brano della sterminata deposizione resa
dall'ammiraglio Martini il 6 ottobre 1999 alla ''Commissione
parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulla mancata
individuazione dei responsabili delle stragi''. Dopo aver confermato che
i servizi da lui diretti erano in ottime relazioni con quelli
israeliani, ha parlato dell'affare Vanunum affermando di aver
'minacciato di espellere il capo del centro israeliano a Roma, fintanto
che un emissario del Governo israeliano non venne a spiegare al Governo
italiano come era andata al faccenda'' :
''PRESIDENTE : Capisco cio'
che lei dice, la logica occidentale, giusta e legittima del nostro
sistema di alleanze, in cui era coerente alla fedelta' occidentale
essere amici di Israele. Le volevo fare pero' un'altra domanda. La
possibilita' di ''concludere azioni spesso spettacolari, non consentite
ad altri servizi che operano con le regole del tempo di pace'', e' stata
consentita al Mossad anche in territorio italiano, cioe' un po' di
ammazzamenti.
MARTINI : Durante il mio periodo non ci sono stati
ammazzamenti.C'e' stato il rapimento Vanunu, che poi e' stato risolto
per le vie...
PRESIDENTE : Quindi questo libro, 'Vendetta. La storia
vera di una missione dell'antiterrorismo israeliano'' di George Jonas,
che racconta come diversi agenti di Al Fatah siano stati uccisi a Roma
nel territorio urbano....
MARTINI : Uno e' stato ucciso prima che
arrivassi io. E' stato ucciso in via Veneto. D'altra parte se il governo
di Israele autorizzava questo tipo di operazioni (...). Anche i
francesi durante la guerra di Algeria fecero saltare....
PRESIDENTE :
Ammiraglio Martini, mi sto misurando con questo problema laicamente.
Forse facevano anche bene dal loro punto di vista e probabilmente coloro
che lo facevano rischiavano la vita. La mia domanda pero' intendeva
conoscere in base a che tipo di intese un Servizio segreto puo'
ammazzare della gente in territorio italiano con noi che facciamo finta
di niente.
MARTINI : Non e' che facciamo finta di niente, perche'
quando Vanunu dichiaro',mostrando la mano al di la' del finestrino, che
era stato rapito a Roma , si ebbe quasi una rottura delle relazioni
diplomatiche tra noi e Israele. Evidentemente Israele non si comporto'
bene in quell'occasione. Se poi Israele – sempre precedentemente al
periodo in cui sono stato capo del servizio- ha ammazzato qualcuno a
Roma, io non posso saperne nulla''
Se vogliamo credere alla
parole di Martini, dovrebbe venire come minimo qualche dubbio sulla
capacita' operativa dei nostri servizi segreti
Fonte : Mossad base Italia pag 213-223
Troppi segreti di Stato
Per comprendere quanto siano intrecciati i rapporti ufficiali e
non ufficiali tra Israele e Italia basta
leggere le inchieste sul Banco Ambrosiano, su Roberto Calvi e su
Marcinkus, e sui loro incontri periodici con i capi del Mossad
denunciati da Ostrovsky; o su quel personaggio inquietante che e'
Francesco Pazienza, ex agente del Sismi, oltre a tutte le storie che
ho cercato di raccontare. E per capire anche quanto sia capillare la
penetrazione dei servizi segreti israeliani nelle vicende italiane.
Un'amicizia cresciuta, negli ultimi anni, e consolidata con l'accordo
di cooperazione militare firmato dal primo governo Berlusconi.
Prevede ''acquisizioni e produzioni congiunte di armamenti come
bombe, mine, razzi, siluri, carri, esplosivi ed equipaggiamenti per
la guerra elettronica'' e anche cooperazione bilaterale nel settore,
Amicizia che, grazie alla struttura della legge, resta top secret e
non viene riportata nelle statistiche pubbliche. Che l'Italia compri
o venda armi e ' un dato noto, ma la legge italiana vieta il
commercio con paesi in stato di guerra e cio', naturalmente, dovrebbe
precludere Israele. Le intese turbano Amnesty International e il
movimento per il disarmo, ma non sembrano creare problemi al governo
o all'opposizione. Cosi' come ha dato qualche fastidio soltanto agli
agenti dei nostri servizi segreti la decisione di fornire al Mossad
tutti i loro nominativi. La giustificazione? ''Cosi' si lavora megli
insieme''. Forse e' cio' che avevano in mente i capi del Sismi, negli
anni ottanta, se e' vero che un agente del Mossad, che oggi si fa
chiamare Gerald Westerby, ha fatto parte di una delegazione di
esperti militari italiani in Libia, invitati laggiu' per assistere
all'arrivo di due cacciabombardieri Mig.
Fonte : Mossad base Italia pag- 227
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